Le parole orrende travalicano ogni possibilità di lasciarsi inventariare: la loro forza è nello spazio che riescono a conquistarsi, impedendo la possibilità di comunicare pensieri e ogni tentativo di catalogazione è destinato al flop, considerata la loro capacità di moltiplicarsi. I termini, se abusati, perdono intensità e senso, producendo unicamente rumore, tanto che qualcuno ha pensato di architettare un aggeggio mnemonico per combattere l’ecatombe linguistica.
Tic Edizioni ha deciso di eternare queste “parole orrende” in tanti piccoli magneti da frigo, una specie di talismano per iniziati per purificarsi dal linguaggio abbrutito. La strategia è di Vincenzo Ostuni, autore che ha devoluto interamente gli incassi dell’impresa editoriale all’Accademia della Crusca: ritrovarsi sul frigorifero una selezione di parole inascoltabili potrebbe aiutare a tenerle lontane. Basterà un nugoletto di calamite a scacciare questi zombi stralunati, che mietono vocabolari a base di ridondanze, riempitivi e tic lessicali (tra un’apericena e un opening perennemente in progress)? La libera circolazione di parole mefitiche nuoce più a chi la incoraggia o a chi la subisce? Intanto, l’orrore Omofobo si spreca e impreca senza soluzione di continuità. Ma infatti, la mutazione si affina day by day, tra la compulsione inglesista e le recidive sui congedi seriali Correct e giogioni (Bacissimi, A frappè, A prestissimo).
Grazie alla pirlolingua degli informatofoni, ogni nuova variante d’idee reçu è assorbita dai consumisti e immessa sul mercato all’istante: ma chi si salverà quando la parola impronunciabile si ufficializza, con l’aiuto dei quotidiani (on e offline), infestando la sfera del parlato vis à vis? Se lo sapessimo non saremmo qui, ma a un festival cinematografico LGBT: ci andremo per scongiurare il femminicidio, compiuto specialmente da persone di colore? Figata!, esclama a ripetizione l’eterno fanciullo sognando una milf da flaggare. E quanti chili di managerialese yuppista riusciremo a smaltire In Situ?
Una cosa è certa: Di default, potremo sempre performare o leaderare durante un Briefing, progettando la Kermesse e invitare l’ outsider del momento. Ma dove spoilerare l’ultima serie tv, se non troveremo la location più adeguata alla situescion? Sarà comunque un evento scicchissimo, in barba all’austerity. Potremo trollare e lollare al Vernissage sorseggiando un Aperitivo rinforzato. Che vorrà dire poi Curatela? (Piatto tipico della cucina calabrese o salume della tradizione bellunese? “Mi dia un etto di curatela”, “Per me curatela con funghi e bresaola, grazie”). Diremo pure “Sai che c’è?”, per sentirci in uno spot di bifidi lassativi o in una serie tv a puntate di medici o commesse. Mal che vada ci rifugeremo nel Salotto buono, per ostentare (falsa) appartenenza a salotti inferi. Il tris di cuori creativo-creativi-creatività proverà che l’Italia è un paese di eccellenze. Ma anche no, se li intervisteremo in cultural space bevendo tè e biscotti handmade. Si finanzieranno quali e quanti Giovani Scrittori e progetti culturali interessanti per Artisti lestofanti, sostenuti dal crowdfounding (paroletta, per yuppisti fuori tempo, che nobilita l’idea meno epica di colletta?) Non avremo scampo, tra postmoderno, glocale e altri lemmi da masturbone intellettuale.
La forza della parola orrida sta nella coazione a ripetere dei suoi sicari, che perpetrano linguaggi robotizzati sui social, al bar, alle feste, alle riunioni di lavoro. Ci si potrà salvare senza ricorrere al vertice della sképsis, l’afasia? Volendo, si potrebbe coltivare giornalmente un piccolo rimedio. Personalizzare il linguaggio, scegliendo un dizionario a misura di contesto e di stato d’animo, senza abbandonarsi al trucchetto dei cloni pigri: lasciarsi ‘dire’ dalle parole senza avere il coraggio di pronunciarle davvero.
Rubina Mendola, Il Foglio, 16 0ttobre 2016
La settimana della lingua italiana
Ben poco da celebrare
Lo slogan della campagna di reclutamento della marina militare italiana, campagna rivolta quindi a degli italiani, è “Be cool and join the Navy”. Per incoraggiare gli italiani ad avere figli, il ministero italiano della Salute ha lanciato il “Fertility Day”. Nel parlamento italiano siede il “ministro del Welfare”. La legge contro lo “Stalking” ha fatto dell’Italia il paese con il maggior numero di denunce per stalking al mondo. È proprio vero: perché una legge abbia successo occorre darle un titolo inglese. L'”Election Day”, infatti, ha avuto gran successo, ma solo per il nostro Matteo Renzi, divenuto primo ministro senza essere mai stato eletto. Non c’è che dire: per gli italiani, in inglese è meglio. E visto che l’inglese comporta “glamour”, io proporrei che la “Settimana della lingua italiana” diventi “Italian language week”. Ciò le conferirebbe un gran prestigio, se non proprio all’estero, certamente tra i nostri “sciuscià” appecoronati di fronte al mitico “Altro”, oggetto delle loro ardenti brame onanistiche cioè segaiole.
Per tornare allo slogan della campagna di reclutamento della marina militare italiana “Be cool and join the Navy”, mi è impossibile non fare un commento amaro: il fondo è stato raggiunto da questi italioti che tradiscono la memoria di coloro che combatterono e morirono per l’affermazione dell’Italia, e per i suoi valori, tra cui anche la lingua.
Il “Fertility Day” nonostante i fecondi propositi ha partorito solo polemiche. Roberto Saviano e numerosi altri si sono risentiti perché “Fertility Day” “è un insulto a chi non riesce a procreare e anche a chi vorrebbe ma non ha lavoro”. Saviano e gli altri hanno invece tenuto gli occhi chiusi su questa ulteriore operazione di “sterilizzazione” della lingua italiana compiuta vergognosamente dal bisturi del governo. “Fertility Day” è un insulto alla lingua italiana, e dovrebbe essere considerato un insulto rivolto agli italiani tutti. Ma non è stato così…
Nella penisola, nonostante il favore che incontrano ormai i “Flash mob” (Dizionario Treccani: “Riunione di gruppo improvvisata, che si organizza mediante una convocazione a catena inoltrata su siti Internet o tramite messaggi di posta elettronica, durante la quale i partecipanti compiono un’azione collettiva”), è un grandinare continuo di “Day”. Un tentativo di psicanalisi da parte mia: nel subcosciente degli italiani probabilmente agisce il mitico “D-Day” dello sbarco degli Alleati in Normandia, che installò l’America in Europa. Gli Italiani, e non solo i filoamericani ma anche gli antiamericani, entrambi “ass-kisser” in campo linguistico, da allora non smettono mai con i loro “days”. Oltre all'”Election Day” da me già citato, menzionerò il “Family day”, lo “Young day” (sic), voluto da Alfonso Pecoraro-Scanio per rimettere al centro il problema dei giovani e del precariato, i “Referendum days” dei radicali, il “Maiale day” dei leghisti contro la costruzione di una moschea, il “No tax day” del Pdl contro il sindaco di Milano Pisapia, il “No porcellum day”, “No Berlusconi Day”,”No Salvini Day”, e l’imminente “No Renzi Day”… La lista è lunga. E stavo per dimenticare, infatti, le sagre paesane che ormai si chiamano“Day”, come la“Porchetta day”… È doveroso poi ricordare anche il glorioso “Vaffa… day” di Beppe Grillo contro i politici italiani. A suo tempo, a dire il vero, io proposi un “F… off day” o “F… you day” o “Go f… yourself day”, secondo i gusti, per tutti i ridicoli scimmiottatori della parlata americana.
Non c’è che dire: il governo italiano è in prima linea nel promuovere i continui “flop” dell’italiano, lingua destinata prima o poi ad andare in “tilt”. E questo non è – credetemi – un semplice mio “gossip”, ma un indigesto “reality”. È urgente, secondo me, che in Italia si crei un’“Authority”, doverosamente “bipartisan” e provvista di “moral suasion”, che tra le tante iniziative a favore del nostro idioma istituisca anche un “Italian-day” a protezione del “welfare” della nostra lingua, vittima del “pressing” e dello “stalking” condotti da quel “killer” linguistico che è l’inglese. La cui avanzata – è doveroso aggiungere – è favorita dagli “assist” di tanti Italians che, ossessionati dal “look”, scimmiottando gli anglo-americani pensano di essere “trendy” e “cool”, mentre in realtà si dimostrano dei perfetti “asshole”.
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