Una buona notizia. Dopo una lunga attesa, domenica 24 novembre RaiUno manderà in onda, alle 23.30 nello speciale TG1, il documentario di Silvia Giralucci “Sfiorando il Muro”.
Una notizia importante. Per una volta la televisione di Stato affronta la narrazione degli “anni di piombo” da un angolo interpretativo diverso, sicuramente inconsueto e, per alcuni, probabilmente fastidioso, pericoloso. Con buona pace dei nostalgici dell’odio e degli immemori, il lavoro rompe gli schemi di certo manierismo post’68 (la melassa su “la meglio gioventù”…) e si sottrae dai labirinti della retorica e dell’autocelebrazione. Non è cosa da poco.
Coraggiosamente, Silvia ha intrecciato la sua personale “recherche du temps perdu” — le tante domande sull’omicidio del padre Graziano ucciso, assieme a Giuseppe Mazzola, dalle Brigate Rosse nella sede del MSI di Padova — ad un’indagine sulla sua città trasformata, in quel tempo crudele, in un laboratorio del “terrorismo diffuso”. Ecco, allora, le immagini della sua infanzia senza padre alternate ai filmati degli scontri di piazza, le interviste ai testimoni, la spocchia dei “cattivi maestri” di ieri e la conferma dell’indifferenza di molti (troppi) padovani.
“Sfiorando il muro” è un lavoro potente. Fotogramma dopo fotogramma, il documentario restituisce il clima cupo, disperato di quei giorni maledetti, quando l’intera città fu teatro, scenario dei giochi di guerra di un cenacolo di “apprendisti stregoni” che, dal tepore delle loro cattedre universitarie, scatenarono la rabbia dei loro adepti contro chiunque — i missini, le forze dell’ordine e poi i sindacati e, persino, il PCI — potesse ostacolarli.
Una mattanza che Toni Negri — uno dei momenti rivelatori del filmato — rivendica ancor oggi con maligna ironia: davanti ai suoi fans di ieri e oggi, il professore, ormai sicuro della sua impunità e dei suoi denari, ironizza sulle vittime e si lagna delle sue noie giudiziarie. Senza vergogna, senza pietà. Del resto Negri se ne frega anche dei discepoli più sfortunati come dimostra l’incontro di Silvia con Raul Franceschi, un ex soldatino di Aut Op., oggi sperso nei gorghi della disperazione.
Per comprendere, per capire l’autrice ha voluto intervistare anche Pietro Calogero, il giudice che nel 1975 incarcerò trentatrè militanti del Fronte della Gioventù patavino — una manovra podromica all’eventuale scioglimento del MSI — e poi, il 7 aprile 1979, scatenò la repressione contro Autonomia. Il magistrato è un personaggio algido quanto inquietante. In controluce, dietro ai teoremi e tecnicismi di Calogero, si legge come il potere giudiziario e politico — a Padova e in Italia — volle gestire quella fase. Non a caso, invece di rispondere sulla lunga tolleranza offerta a Negri e compagni, il giudice rilancia la teoria democristiana degli “opposti estremismi” e sorvola sulle pressioni del PCI sulla magistratura. Peccato, poteva essere l’occasione per riconoscere omissioni e pericolose sviste e, magari, chiedere scusa alle famiglie Mazzola e Giralucci, anche a nome dei suoi colleghi, per l’incredibile lentezza delle indagini sull’omicidio di Graziano e Giuseppe.
Di ben altro livello, umano e politico, il contributo di Stefania Paternò. Dirigente del Fronte della Gioventù al tempo del delitto di via Zabarella, Stefania ricorda con emozione il padre di Silvia e racconta la Padova di allora e la tragedia di un ambiente, di una generazione. Senza sconti, senza abbellimenti, con vera pietas.
La testimonianza della Paternò assieme alle riflessioni conclusive di Silvia, segnano il momento più intenso di “Sfiorando il muro”. Difficile, per chi ha vissuto quei momenti, non commuoversi e non riflettere. Fanno perciò sorridere (amaramente, molto amaramente) le critiche di tutti coloro che non conobbero, non videro, non soffrirono, ma ciò nonostante oggi giudicano il lavoro “buonista” o “perdonista”. Sono stupidaggini come le critiche all’atteggiamento distaccato di Silvia dalle commemorazioni ritualistiche che affliggono la memoria dei caduti. Il dolore — quello vero, quello di una figlia orfana a tre anni — non si può spiegare e tanto meno rinchiudere in rassicuranti caselle pseudo ideologiche. Come c’insegnano gli antichi, il sangue versato dev’essere placato. Sempre. E l’unico modo sta nella ricerca della verità. Silvia lo ha fatto per tutti noi.
Io sarei “sperso nei gorghi della disperazione”? Grazie, ma non sono perso in nessun gorgo, sto’ benissimo. Casomai i diepsrati siete voi che siete rimasti gli stessi di sempre. Fate pena.
Raul, comprendo la sua rabbia, la sua incazzatura. Lei è una vittima di un tempo sbagliato e, probabilmente, di se stesso. Oggi lei forse è sereno. Lo spero. Ma, considerati gli anni passati (per sua ammissione) a consolarsi con l’eroina, la sua passione compulsiva per la musica Techno (un sound non proprio rilassante…), la sua tristezza, non riesco a considerla un uomo felice. Il bel bimbo della dolce cassiera del vecchio cinema Uno meritava un altro destino.. Certo, sono solo fatti suoi. Ma lei, a differenza degli altri suoi amici, è stato coraggioso a raccontarsi e a raccontare. Con onestà. Ne vada fiero. Buona fortuna.
ne rabbia, ne incazzatura, ma tristezza nel vedere come guardate sempre le cose attraverso il prisma della vostra (secondo me) deleteria ideologia e non attraverso la realtà della vita vissuta. Quanto alla “passione compulsiva” per una musica “non proprio rilassante”, quelli come lei dicevano la stessa cosa, all’epoca, del rock, del jazz, del blues, ecc ecc vi consiglio di aprire un po’ le finestre per cambiare l’aria, sarebbe tempo.
Il film – che a tratti è parso un reportage sulla sinistra estrema di Padova – merita rispetto e fa pensare al tema della pacificazione che non può al momento esserci, almeno che non si tratti delle destrine calabrache che dal 1995 ad oggi hanno calcato e calcano comicamente la scena politica italiana. Loro, quelli dell’altra parte, i comunisti, vogliono “pacificare” imponendo al nemico di ieri l’abiura delle proprie idee. Ciò non è accettabile in quanto, in una Nazione seria, quando termina una guerra civile, le opposte fazioni, deposte le armi, possono pure parlarsi, ma nel rispetto reciproco delle idee che non devono essere rinnegate. Quello che forse Silvia Giralucci non ha compreso – lo dico con il massimo rispetto in primo luogo per il Padre, poi per lei – è che da noi, in Italia, i comunisti – che ci sono eccome che ci sono – parlano di memoria da condividere con gli avversari che, però, devono sposare obbligatoriamente il soviet-pensiero. Se questa è pacificazione, se questa è memoria condivisa, tutto dev’essere respinto ad un mittente che non ha i titoli morali, storici e politici per dare giudizi. E’ quindi un dovere morale mantenere detto punto, fermo e dritto, soprattutto per i tanti, tantissimi Caduti, di quella Fiamma Ideale e Romantica che per un Quarantennio dette speranze agli orgogliosamente esclusi, agli orgogliosamente impresentabili, agli orgogliosamente ghettizzati. Mediti Silvia, mediti…
Grazie Marco, si può avere copia del filmato? fammi sapere
un fiammifero romantico