Cento anni fa per mezzo dei sette “savi”, tra i quali Vincenzo Cardarelli, Riccardo Bacchelli, Emilio Cecchi e Antonio Baldini, si concretizzava l’azione culturale della rivista “La Ronda”. Pur nelle loro evidenti differenze, percorrevano infatti itinerari letterari disorganici, erano tutti identificati da un programma ispirato a una nuova disciplina artistica e culturale: “Il ritorno all’ordine”. Il temporale avanguardistico vociano e futurista stava infatti esaurendo la sua funzione di rinnovamento, gli elementi scatenati dal suddetto temporale erano stati identificati in: Rimbaud, Baudelaire e Nietzsche.

Passata l’aurora del nuovo secolo, l’alba riscopriva Leopardi e Shakespeare anche per mezzo del realismo storico. Cecchi, il meno ribelle del gruppo, si confermava autore fine, calibrato saggista e prosatore lirico. L’incipit della rivista portava la firma di Cardarelli, il primo numero pubblicò un’elegante e astratta prosa-manifesto, congedandosi dalla giovinezza: “A trent’anni la vita è come un gran vento che si va calmando […]. O animosa e benedetta gioventù, addio! Ci affrettiamo […] a renderti gli onori che ti si devono e a riconoscere che sei passata […] non siamo più giovani […]. Eccoci giunti al punto di agire con prudenza”. La “giovinezza” dalla quale Cardarelli si congedava non era quella privata e anagrafica, ma culturale, il “vento che si va calmando” era quello vorticoso dello stile e della temperie artistica e letteraria d’anteguerra, da oltrepassare, ritornando alla tradizione. Nello stesso scritto però l’autore laziale affermava che il proprio “neo-classicismo” era “metaforico e a doppiofondo”, nel tentativo ardito di accordare tradizione e contemporaneità, ai suoi occhi Leopardi e Baudelaire. Quanto appena scritto non andava però tradotto nell’accezione meramente sintattica e grammaticale, la nostalgia dell’antichità poteva così accompagnare senza afasie il vorticismo del Novecento, come nel carattere di Cardarelli, di formazione irregolare e autodidatta.
“La Ronda” risultava così, rispetto alla precedente manifestazione fenomenica de “La Voce”, una riflessione più realistica a tratti disincantata, lo stile letterario si ergeva a scudo esistenziale teso ad affrontare i marosi che la vita riservava, in pieno appoggio con il nuovo corso politico italiano inaugurato dal fascismo (tra i lettori e i sostenitori della rivista spiccava Italo Balbo). Caldarelli scrisse una lirica, “Camice Nere”, in omaggio alla Milizia Volontaria e Baldini e Cecchi divennero membri dell’Accademia d’Italia.

Il genere letterario era il tipico frammento in prosa, memoriale ed evocativo di carattere anti-narrativo e di rado calligrafico. La prosa dell’autore di punta della rivista, proprio Cardarelli, senza etichettarla rigidamente, appariva: etica, improvvisamente oscillante tra ironia e la cupa rassegnazione. Dal canto suo Cecchi scriveva in modo alternante: tra controllo razionale letterario e spesso ambiguo fantastico, irrazionale, inquietante, stilisticamente prezioso e raffinato. Si trattava di autentica e alta “prosa d’arte”, poetizzante e anti-narrativa, senza l’urgenza morale vociana, che era così oltrepassata. Gli autori migliori de “La Ronda” non erano infatti calligrafi.
“I pesci rossi nella palla di vetro nuotavano con uno slancio, un gusto di inflessione del loro corpo sodo, una varietà d’accostamenti a pinne tese, come se venissero liberi per un grande spazio. Erano prigionieri. Ma s’erano portati dietro in prigione l’infinito. Il più straordinario però era questo: soltanto visti di profilo erano pesci veri e propri. A parte la gradevole pazzìa del loro colore, visti di profilo erano assolutamente pesci soliti, di forma familiare, come i pesci del miracolo dei sette pani, o come quelli che ognuno la domenica può tirar su da un argine con l’amo o con la rete. Quando davano un colpo di coda, un guizzo e si mettevano di fronte, la cosa cambiava. La loro faccia dalla grande bocca arcuata diventava sotto la fronte montuosa una maschera rossa di malinconia impersonale e disumana”. Da “Pesci rossi” di Emilio Cecchi, Firenze 1920.