E alla fine Marcello Foa ce l’ha fatta ed è stato eletto come presidente della Rai. Al primo tentativo, il tiro incrociato tra Pd e Forza Italia l’aveva impallinato. Le ragioni del centrosinistra erano di avversione per le idee di Foa; quelle di Forza Italia sembravano più “tattiche”. Molti “a destra”, non avevano saputo spiegarsi perché un giornalista d’indiscutibile professionalità, collaboratore per anni de il Giornale – quotidiano non certamente “sinistro” – e cresciuto con maestri liberali come Montanelli e Cervi, non potesse ottenere il consenso anche di Berlusconi e Forza Italia.
I forzisti dissero che era una questione di “forma”, ovvero non si poteva accettare una decisione presa tra leghisti e grillini e poi comunicata successivamente alle opposizioni: occorreva un dialogo tra governo e opposizioni per accordarsi su un nome il più possibile condiviso. In realtà, la ragione era che Berlusconi e il suo partito dovevano dimostrare di esistere ancora e di essere influenti sullo scenario politico: un avvertimento a Salvini.
Resta il fatto che la “tattica” berlusconiana è stata pericolosa e duramente criticata da giornalisti e intellettuali del versante moderato-conservatore: si stava per affossare forse la più grande occasione che sia mai capitata di liberare la Rai dall’egemonia dell’intellighenzia di sinistra. Il recente incontro tra Salvini e il Cavaliere, ha permesso di sbloccare la situazione e per Foa è finalmente stata “fumata bianca”.
Ovviamente il centrosinistra è inorridito e ha cominciato a sbraitare scompostamente. Ma ci chiediamo: perché? Perché Foa non sarebbe idoneo per il ruolo di presidente Rai? Possiamo forse negare la competenza professionale del giornalista? Sarebbe demenziale! Piuttosto si tende a considerare (da sinistra) che le sue idee siano “pericolose”, perché sebbene Foa sia un liberale, è anche “conservatore” e “sovranista” e ha idee scomode su questioni come sulle “false flag” o “ideologia gender”.
Se vogliamo davvero cambiare la direzione della società, incidendo sui costumi, non basta l’azione politica: urge una vera “rivoluzione culturale”, che non può non passare anche dalla prima “azienda culturale” dell’Italia che è la televisione pubblica. Ai più liberisti che propongano di privatizzare completamente la Rai per liberarla dai partiti, replico che questa non è certamente la soluzione del problema. Le televisioni private non offrono certamente un servizio “qualitativamente” superiore a quelle pubbliche, e quest’ultime sono deteriorate nel tempo, proprio da quando hanno preso come modello imitativo, quelle private. Che in una società democratica dove vige “l’economia di mercato”, si debba garantire una libera concorrenza tra pubblico e privato, favorendo la prosperità di televisioni commerciali che offrono alternative e producono ricchezza, questo è indiscutibile. Che però il privato, soppianti il pubblico, cancellandolo, abolendo, di fatto, l’esistenza dello Stato e dei suoi servizi, è inaccettabile.
L’ideale (ma naturalmente si tratta probabilmente di una visione utopistica) sarebbe una Rai interamente pubblica, senza pubblicità e finanziata con il canone. La televisione pubblica non dovrebbe avere come obiettivo l’audience, bensì la formazione educativa e culturale della nazione: qualità al posto di quantità.
Ovviamente non mi aspetto che l’attuale governo grillo-leghista compia questo miracolo, ne spero che lo possa in qualche modo inverare Foa. Quello che possiamo fare è cambiare radicalmente la Rai. Non bisogna “liberare la Rai dai partiti”, perché i partiti sono lo specchio del Parlamento e quindi lo specchio del Paese. I partiti – nel loro insieme – sono la democrazia, sono “le idee”, senza le quali manca un progetto politico e culturale della nazione. Quello che occorre e che tutti i partiti (le idee), siano rappresentati. Ovviamente senza farsi illusioni e neppure senza fingersi ingenui: è evidente che le forze politiche di governo, eserciteranno una loro legittima influenza.
Secondo le voci che circolano, Rai Uno resterà come sempre la più “istituzionale”, rappresentando il governo. Rai Due presumibilmente sarà vicina alla Lega, mentre Rai Tre, al Movimento 5 stelle. Se così dovesse essere, il Partito democratico (leggesi “sinistra”), resterebbe per la prima volta fuori dalla televisione pubblica. Ovviamente nel Movimento 5 stelle molti sono “di sinistra” e che probabilmente saranno questi ad approdare sulla terza rete pubblica (anche perché il Presidente della Camera è il “compagno” Fico), ma certamente qualcosa di epocale si appresta ad accadere sul versante politico e culturale del nostro Paese. Ed è questa la ragione per la quale il centrosinistra sta schiumando di rabbia e senza pudore alcuno, accusa il governo di voler “occupare la Rai”.
Da che pulpito? Proprio loro: comunisti, socialisti e democristiani che da sempre stanziano in ogni settore dell’informazione e della cultura, senza cedere spazi e censurando qualsiasi pensiero non conforme alla loro dittatura del pensiero unico! Anche perché, nonostante tutto, i radical-chic avranno di che consolarsi: non solo grazie a La7 che è da anni il salottino dei post-comunisti al caviale, ma a offrire una “nazzarena sponda” al Pd, ci ha pensato Berlusconi, che dopo l’esito trionfante del fronte populista alle elezioni, ha frettolosamente dato il benservito (in puro stile “liberale”) a Belpietro, Giordano e del Debbio, accusati d’aver con la loro informazione televisiva, portato troppa acqua al mulino “sovranista-populista”, e li ha sostituiti con giornalisti e opinionisti “renziani”, trasformando Rete4 in Rete-Pd (un po’ come da tempo sta accadendo nella carta stampata con “Il Foglio”).
La strada per la liberazione dell’Italia dall’egemonia culturale della sinistra, è ancora lunga: stampa, editoria, cinema e spettacolo, scuola e magistratura, per poi passare dal web, il mezzo più insidioso perché per sua natura “globale”, “liquido”, “astratto”, un mondo dove l’equilibrio tra libertà di pensiero e dovere educativo – formativo è labile, e la recente legge europea sul copyright ha palesato le sue problematiche contraddizioni. Ma da qualche parte dobbiamo iniziare, e forse possiamo dire che la presidenza Rai è il primo tassello di un complicato puzzle che siamo tenuti a tentare di far tornare, lentamente, gradualmente, pazientemente… e perciò, buon lavoro Marcello Foa!