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Home Appunti di viaggio

La Stazione Marittima di Messina, un capolavoro fascista dimenticato

di Massimo Weilbacher
28 Agosto 2017
in Appunti di viaggio, Home
1
La Stazione Marittima di Messina, un capolavoro fascista dimenticato
       

“Questa domanda la dovrebbe fare al sindaco” mi dice l’addetto alla biglietteria della Stazione Marittima di Messina sollevando, sorpreso, lo sguardo dal suo smartphone.

Gli ho appena domandato come mai la Galleria dei Mosaici al primo piano sia inaccessibile, sbarrata da una grata metallica. Due coperte lerce, qualche cartone marcio, una ciabatta, rifiuti e avanzi di cibo sparsi è quello che si incontra in cima alle scale che portano alla galleria. Attraverso lo sbarramento si vede solo l’ingresso del grande corridoio ellittico coperto di polvere e sporcizia, completamente abbandonato all’incuria e al degrado.

Chiedo cosa c’entri il sindaco, visto che si tratta di un edificio di proprietà di Centostazioni SpA, che avrebbe il compito di valorizzare il patrimonio immobiliare delle ex FS.

“Eh si ma è complicato”, replica il mio interlocutore, “era diventato un rifugio di barboni e tossici, nessuno faceva niente e lo hanno dovuto chiudere perché non si poteva controllare”.

Nascondendo a fatica il disappunto saluto e mi avvio lungo il marciapiede dei binari verso la stazione ferroviaria. Almeno potrò dare un’occhiata all’edificio, che pur inquinato dalla consueta incuria e da porcherie contemporanee conserva ancora l’estetica originale, e all’architettura futurista delle cabine tecniche e del serbatoio dell’acqua.

Erano anni che aspettavo di capitare a Messina per vedere il monumentale mosaico di Michele Cascella e il complesso delle due stazioni, marittima e ferroviaria, una delle più importanti e significative opere architettoniche razionaliste realizzata tra il 1937 e il 1939.

Immagino che sia il solito e letale miscuglio di competenze indefinite, negligenza, sciatteria burocratica, rimpallo di responsabilità, inefficienza e menefreghismo ad impedire, a me ed alle altre migliaia di viaggiatori che passano da queste parti, di ammirare uno dei capolavori dell’arte italiana degli anni ’30.

Probabilmente nel guazzabuglio di cui sopra, come diceva l’addetto alla biglietteria, anche il bizzarro sindaco di Messina Renato Accorinti, pacifista integrale un po’ santone e un po’ hippy, allergico alle scarpe, al tricolore e alle uniformi, avrà fatto la sua parte quanto meno trascurando e svilendo, invece di valorizzare adeguatamente, una delle principali opere d’arte presenti nella sua città che, più volte distrutta, non abbonda certo di attrattive e tesori artistici risultando anzi anonima e dimessa.

Eppure, anche se oggi politicamente scorretta, la seconda ricostruzione di Messina ha lasciato alla città dello Stretto un’eredità culturale di grande valore purtroppo misconosciuta e spesso in stato di degrado e abbandono.

Tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30 il Regime Fascista aveva deciso di dare un nuovo e decisivo impulso alla ricostruzione di Messina, che sino a quel momento aveva proceduto a rilento e in modo discontinuo lasciando la città semidistrutta e la popolazione nelle baracche. Con una legge speciale il governo fascista aveva quindi stanziato per la ricostruzione 500 milioni di allora, realizzando in pochi anni numerosi ed importanti interventi che avevano cambiato il volto della città.

Oltre al rifacimento del campanile del Duomo con il sorprendente orologio meccanico realizzato dalla ditta Ungerer di Strasburgo nel 1933, al posizionamento, il 12 agosto 1934, della statua della Madonna della Lettera all’imbocco del porto, promossi dalla Curia locale ma realizzati con fondi dello Stato, il Regime aveva ridisegnato il volto della città concentrandosi su infrastrutture ed edifici pubblici.

Così in pochi anni erano stati edificati, oltre a 6000 alloggi, il Palazzo di Giustizia di Piacentini in stile monumentale (1927-1928) e il palazzo dell’INA di Giuseppe Samonà e Guido Viola (1929), primo elemento della cortina di 13 edifici, collegati da porte monumentali, che avrebbero dovuto ricostituire in chiave moderna la famosa Palizzata sul lungomare dello Stretto voluta dal principe Filiberto di Savoia nel 1622 e distrutta dal terremoto del 1783.

E ancora: il Palazzo dell’INPS (1926) di Gino Peressutti; il palazzo dell’INAIL (1933) e la Casa del Fascio (1939) di Giuseppe Samonà in puro stile razionalista, oggi sede del catasto, che conserva ancora gran parte dell’aspetto originale nonostante la rimozione di molti elementi decorativi, il danneggiamento vandalico del grande bassorilievo con l’allegoria del lavoro e la distruzione dei decori interni avvenuta negli anni ’60 (forse più per ignoranza che per censura politica); la casa del Mutilato, purtroppo malamente manipolata e quasi irriconoscibile, e i padiglioni della Fiera, duramente colpiti dai bombardamenti alleati e oggi fatiscenti ed inutilizzati.

E’ in questo contesto che Mussolini, sceso a Messina il 10 agosto 1937, annuncia la costruzione di una grande stazione marittima e terrestre che dovrà essere inaugurata il 28 ottobre del 1939. L’incarico viene affidato ad Angiolo Mazzoni (1894-1979) geniale architetto ed ingegnere capo delle Ferrovie dello Stato, uno dei più importanti progettisti degli anni ’30, fascista convinto e mai pentito che pagherà le sue convinzioni con l’ostracismo, l’esilio, la damnatio memoriae e l’ingiuria a molte delle sue opere.

Autore di moltissime stazioni ed uffici postali (poste e ferrovie allora facevano capo allo stesso ministero) in ogni parte d’Italia (le stazioni di Siena, Trento, Bolzano, Reggio Emilia, Reggio Calabria, Roma Tiburtina, i locali tecnici della stazione di Firenze, il progetto originale della stazione Termini, gli uffici postali di Littoria, Agrigento, Bergamo, Palermo, Trento, Varese, Massa, Grosseto e molti altri) Mazzoni, amico di Marinetti, aveva aderito al secondo Futurismo e il 27 gennaio 1934 aveva firmato il Manifesto Futurista dell’Architettura Aerea.

A Messina realizza perfetta sintesi delle sue concezioni combinando efficacemente un’estetica di avanguardia e sperimentazione con la soluzione dei problemi tecnici derivanti dalla necessità di connettere direttamente i treni, le navi, le strade e il loro flusso di passeggeri, veicoli e merci.

Ed proprio seguendo il percorso pensato da Angiolo Mazzoni per l’imbarco sulle navi che ci ritroviamo al punto partenza di questo racconto: una imponente galleria ellittica al primo piano della stazione marittima che scavalca i binari dei treni diretti ai traghetti conducendo ai pontili mobili (oggi smantellati) predisposti per salire direttamente a bordo delle navi.

Da una parte grandi vetrate con vista mozzafiato sullo Stretto, dall’altra una parete curva occupata da un grande mosaico illuminato dalla luce del sole siculo-calabrese.

Le direttive del Regime, in particolare del Ministro Giuseppe Bottai, (confluite nel 1940 nell’apposita cd “legge del 2%”), avevano recepito da tempo le istanze degli artisti militanti in favore della funzione civile dell’arte e prescrivevano che una parte del valore degli appalti pubblici venisse destinata ad opere di arte figurativa destinate ad abbellire, secondo i canoni della cosiddetta arte monumentale, gli edifici pubblici.

Per la stazione marittima di Messina Mazzoni aveva proposto alla direzione generale della Ferrovie Mario Sironi, ideatore e caposcuola della pittura murale novecentista, giudicato (stranamente) inadatto in quanto artista troppo di avanguardia.

La scelta era così ricaduta su Michele Cascella al quale venne commissionato un grande affresco che avrebbe dovuto rappresentare la storia della Sicilia con al centro la rievocazione del famoso discorso di Palermo del 20 agosto 1937 nel quale il Duce aveva definito la Sicilia “ Centro dell’Impero”. Casella optò per un mosaico utilizzando una tecnica molto originale: lastre piatte colorate in pasta di vetro di piccole e piccolissime dimensioni e di forme diverse capaci di riprodurre l’impressione di vere e proprie pennellate con effetti cromatici unici e peculiari. L’opera, realizzata in Vaticano dall’Opificio delle Pietre Dure della Fabbrica di San Pietro, raffigura le più importanti tappe della storia siciliana dall’epoca classica fino al 1937. Vi sono rappresentati, in puro stile novecentista, i fasti dell’età classica con i templi di Agrigento (il tempio di Giunone e quello della Concordia) ed Archimede con i suoi specchi ustori.

Poi l’arrivo dei Normanni in Sicilia, i Vespri Siciliani, i garibaldini a Calatafimi, una bellissima donna in costume antico a simboleggiare la Trinacria, un’altra che allatta con due bambini che giocano, ed infine le scene dedicate al mare: pescatori alla fine della loro giornata di lavoro ed una squadriglia di idrovolanti che sorvola navi da guerra nelle acque dello Stretto di Messina. Al centro di tutto, ovviamente, la celebrazione del Duce, con una grande figura di Mussolini circondato da contadini, soldati e camicie nere.

Un capolavoro unico nel suo genere, rimasto per anni in balia di incuria e vandalismi che lo avevano seriamente deteriorato.

Paradossalmente, per una curiosa eterogenesi dei fini antifascisti, a salvarsi dal degrado era stata proprio la parte dedicata a Mussolini, a suo tempo ricoperta da uno strato di intonaco rivelatosi provvidenziale. Finalmente riscoperto dopo decenni di abbandono, l’opera era stata oggetto di ben tre interventi di restauro e conservazione finalizzati al suo completo recupero.

Un primo restauro è del 1997, seguito nel 2004 da un intervento più radicale che aveva restituito al mosaico la sua originaria bellezza. Infine, nel 2006, era stato riqualificato e messo in sicurezza il Salone dei Mosaici recuperando anche le decorazioni originali.

Stando alle cronache locali il Salone sarebbe dovuto diventare un’attrazione importante della città, uno spazio originale per iniziative culturali e di vario genere. Come è finita lo ha spiegato l’addetto alla biglietteria: un rifugio di barboni e tossici, ricettacolo di sporcizia e degrado, inaccessibile e dimenticato.

Un vero delitto, del quale i messinesi dovrebbero chiedere conto a chi li amministra (si fa per dire) e a chi gestisce il loro patrimonio culturale (ma non alla terza carica dello Stato che sicuramente approverà il trattamento riservato ad una bieca e indecente celebrazione del Fascismo).

Tags: Angiolo Mazzoniarchitetturaarchitettura fascistaartefascismoMario SironiMessinaMichela CascellaSiciliatrasportitrasporti ferroviari
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Commenti 1

  1. Francesco Vitrano says:
    5 anni fa

    Una bellissima opera per Messina e la Sicilia, ignobilmente “dimenticata”!!!

    Rispondi

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