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La strategia cinese e i piccoli doni di Bruxelles

di Francesco Marotta
28 Novembre 2013
in Il punto, L'Editoriale
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La strategia cinese e i piccoli doni di Bruxelles
       

L’Europa centro-orientale non attende la manna dal cielo. La pecunia, 325 miliardi di euro dei fondi strutturali europei, ripartiti secondo la quota che compete anche all’Italia, noccioline fresche nel periodo di massima recessione mai visto e, secondo il pareggiamento compensativo (?), in minor quantità a (spagnolette amare) Spagna e Grecia, è vista dalle alte sfere dell’UE come una libidine appetitosa da non farsi sfuggire: “meno due, vuoti a perdere”. Budapest e Belgrado invece, esperte di periodi senza, dopo lunghe stagioni sfavillanti, se ne intendono e vanno oltre la sforbiciata negativa; l’Ungheria deve passare dal 25,31 di elargizioni europee al 20,50 (-19%). Così vuole Bruxelles, è deciso.

Non sempre è possibile fare ciò che si vuole e, quando ci si mette in dubbio la potestà di un popolo, costui, al di là di chi lo conduca, agisce. La seta attrae, alcune volte è in grado di confonde con la sua innaturale morbidezza e levigatura. Cose da nulla per il primo ministro cinese Li Keqiang, abituato a riconoscere un’occasione proficua e le tecniche di tessitura silente, ingentilite dai sui predecessori sin dal 1938: riverberi del Kuomintang di Chiang Kai-shek e del fronte unito, dove la dottrina del Pcc ( Partito Comunista Cinese), riuscì comunque ad aprire un varco all’interno delle molteplici anime antigiapponesi e anticomuniste, riconducendole al partito. L’anticomunismo, nel nome di una lotta di liberazione asservita ai soviet, rivelatasi in seguito, secondo le esalazioni nocive anti-Sol Levante. L’ennesima rivoluzione-ampliamento utile, punta al mercato.

L’Estensione strategica cinese (energetica, delle infrastrutture e dei rapporti) e l’opportunità di una buona mietitura del frumento, a questo punto maturo, l’Occidente, ha tutte le fattezze del progetto e di un accordo siglato a Bucarest al cospetto di 16 capi di governo dell’Europa centro-orientale; Serbia, Ungheria e Cina, unite da una progettualità comune di ripristino e modernizzazione della linea ferroviaria tra Belgrado e Budapest. Una pianificazione connessa alle estremità a est del continente europeo, dove la Cina, segue una logica ben precisa: gli stati satelliti in fase di sviluppo, massificati da tempo immemore, come la ruota di scorta del vecchio continente, oggi, secondo le pietanze di mercato, sono destinati all’aumento della velocità e ad una crescita pur lieve, ma continua. L’obbiettivo e la strategia di un possibile rilancio del trasporto ferroviario incentivato da una mano Europea è in lista d’attesa. Meglio farsi soffiare l’ottima idea dalle riforme cinesi designate al mercato ? Pare che i ghiacciai si sciolgano velocemente. Dopotutto, continua a non fare notizia.

Una parte d’Asia nel quale attraverso una supervisione degli orientamenti della spesa pubblica nel settore trasporti e della suddivisione di costi e benefici fra i diversi attori in gioco, (riunione plenaria del Pcc) vengono gettate le basi per il raggiungimento di obbiettivi ben definiti: l’accrescimento degli organi preposti per la sicurezza nazionale, “altra notizia”, grazie all’ausilio di esperti del mercato finanziario e del commercio chiamati a pronunciarsi, in prima persona, sull’argomento, paventano una sorta di caratterizzazione equilibrata tra le imprese pubbliche e quelle private. La tercera salvaguardia occhieggiante alla presidenza argentina dal 1946 al 1955 ? L’ironia meschina lascia il tempo che trova e le mire di Pechino sono fin troppo evidenti: creare una consapevolezza diffusa proponendosi come unico completamento tonificante delle importanti differenze dei costi sociali, dell’innovazione aggiuntiva verso le due “marginalità” dell’Europa centro-orientale, aumentando il deficit strutturale in rapporto alle diversificate modalità di trasporto nell’Europa dell’Ovest; per sviluppare, nello stesso tempo, le metodologie di calcolo dei costi e seguendo con perizia la stima delle alternative (utilizzo dei canali) presentate in fase di concretizzazione dei progetti e di gestione, grazie a un circuito apparentemente composto in buona parte da aziende pubbliche e private, oggettivamente presenti sia in Ungheria quanto in Serbia.

L’Ungheria parte dell’Unione Europea, facendosene una ragione dei mancati proventi, dialoga con la Serbia, uno degli stati che vanno verso l’adesione. Pechino aumenta la stretta, rallegrandosi del gran gioco di società messo in piedi dagli stati “virtuosi” d’Europa, spalanca le porte che si pensavano tutte d’un pezzo, assicurandosi immediatamente la spinta delle infrastrutture. Quelle che servirebbero all’Italia. In attesa dell’obolo, sempre che ci sia concesso.

Tags: AsiaCinaEurasiaferroviegeopoliticaGiapponeGreciaSerbiaSpagnaUngheriaUnione Europea
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