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Home Economia

La transizione verde inizia dai porti. L’esempio di Anversa e Trieste

di Marco Valle
22 Febbraio 2021
in Economia, Home
1
La transizione verde inizia dai porti. L’esempio di Anversa e Trieste
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I porti sono il perno della “blu economy”, l’economia del mare. Containers, rinfuse, idrocarburi, passeggeri. Per l’Italia un flusso di 403 milioni di tonnellate di merci che nel 2019 ha generato 6,5 miliardi di euro, dato da sommare alle altre voci del comparto marittimo: trasporti (12,2 miliardi), cantieristica (12,6) e pesca (1,7). Totale quasi 34 miliardi di euro, il 2 per cento del Pil nazionale.

Tutto bene? Non proprio. Purtroppo i porti (e gli attigui impianti industriali e/o petrolchimici) sono anche luoghi inquinati. Scarichi, emissioni, rifiuti, gas tossici, traffico di mezzi pesanti. Principali imputati i bastimenti, responsabili per il 60 per cento delle emissioni prodotte nelle aree portuali. Il centro ricerche Transport & Environment ha monitorato le 105 navi da crociera passate nel 2019 nel porto di Barcellona; le grandi navi hanno rilasciato nell’atmosfera oltre 33mila tonnellate di ossidi di zolfo, mentre la totalità del parco circolante della metropoli catalana non supera le 7mila tonnellate. Nella sulfurea classifica, dopo Palma di Maiorca, viene subito Venezia, con 27mila tonnellate contro le 2mila generate dal trasporto su gomma nell’intera aerea mestrina, e Civitavecchia, dove le navi hanno sparso nel cielo 22mila tonnellate di ossidi. Un’enormità rispetto alle poche centinaia rilasciate dalle 35mila automobili certificate in città. Effetti devastanti ma sempre inferiori rispetto ai livelli delle emissioni rilasciate dei ciclopici portacontainer della serie PostPanamax: i loro motori erogano il doppio della potenza (62mila Kw contro 30mila) disponibile sulle navi da crociera. Le conseguenze sono facilmente intuibili.

Una situazione ormai insostenibile che ha convinto l’International Maritime Organization, legislatore internazionale della navigazione, ad imporre ai mercantili di tutto il mondo di utilizzare carburanti con non oltre lo 0,5 per cento di zolfo, un settimo di quanto prima consentito. A sua volta l’Unione Europea ha iniziato a muoversi con investimenti e progetti finalizzati ad una transizione basata su combustibili alternativi come il gas naturale liquefatto (LGN) o l’idrogeno. Nel dicembre 2020 è stata presentata la European Sustainable and Smart Mobility Strategy con l’obiettivo di ridurre in 40 anni il 90 per cento delle emissioni del settore dei trasporti. Dal 2030 entreranno in funzione le prime navi da trasporto a emissioni zero e, entro il 2035, sarà il turno degli aerei. Nel 2050 i porti e gli aeroporti dovranno diventare nodi a emissioni zero.

Obiettivi ambiziosi ma non impossibili come dimostra l’evoluzione ecocompatibile di Anversa, con 212 milioni di tonnellate movimentate annualmente il secondo porto d’Europa. Nell’ultimo decennio l’autorità portuale belga ha perseguito risolutamente la via dell’innovazione investendo somme importanti su un piano incentrato su 17 obiettivi per realizzare un porto “climaticamente neutrale”.

I risultati non mancano: per alimentare l’immensa area vi sono già 69 turbine eoliche, un parco fotovoltaico e Ecluse, una rete di riscaldamento a vapore per l’industria; dal 2016 sono stati installati sulle banchine circa 40 powerpoint on shore per le navi all’ormeggio mentre la flotta di rimorchiatori è stata radicalmente ammodernata (con l’abbattimento del 32,5% delle emissioni di CO2) ed è stata varata la prima unità al mondo ad idrogeno. Inoltre, entro il 2022 entrerà in funzione un avveniristico stabilimento che sarà in grado di produrre 8mila tonnellate annue di metanolo usando la CO2 recuperata e nel 2030 un consorzio formato da Air Liquide, Basf, Total ed Exxon Mobil prevede di immagazzinare oltre metà delle emissioni di anidride carbonica del porto.

Oltre a premiare ogni due anni il progetto di sostenibilità più innovativo, l’autorità partecipa a diverse iniziative internazionali tra cui “Getting to Zero”, un’alleanza di oltre 110 protagonisti del settore marittimo per la progettazione di navi ecocompatibili, e al “World Porte Climate Action Program”, il programma di dieci mega porti — Barcellona, Goteborg, Amburgo, Le Havre, Long Beach, Los Angeles, New York, Rotterdam, Vancouver e Yokohama — per la riduzione delle emissioni.

E in Italia? Nonostante le note criticità strutturali e l’assenza di un ministero del Mare (quello della Marina mercantile fu abrogato nel lontano 1993…) qualcosa inizia a muoversi. Lo scorso gennaio nell’ambito del Recovery fund è stato previsto un “progetto porti integrati d’Italia” con 1,22 miliardi di euro destinati alla sostenibilità ambientale, in primis per l’elettrificazione delle banchine con il sistema “cold ironing”.  Un primo passo verso i tanti auspicati “porti verdi” a cui fa riscontro l’impegno dell’Autorità di Sistema Portuale di Trieste diretta dal dinamico presidente Zeno D’Agostino. Alcuni dati: lo scalo giuliano tra il 2015 e il 2019 è diventato il primo porto nazionale per tonnellaggio totale (entrando nella top ten dei porti europei) ma anche (con un + 63,4 % di treni movimentati: 10.000 all’anno equivalenti a 210.000 camion in meno sulla strada) il primo nodo italiano mare-ferrovia. In più dal 2020 Trieste è capofila di un progetto ambientale europeo, Susport Sustainable Ports. Un piano strategico che coinvolge tutte le Autorità portuali dell’Adriatico. Oltre a Trieste partecipano Venezia, Ravenna, Ancona, Bari, Porto Nogaro e i porti croati di Fiume, Zara, Spalato, Ploce, Dubrovnik (Ragusa). L’obiettivo è migliorare la performance ambientale e l’efficienza energetica.

Per D’Agostino è solo un inizio: «Da semplice luogo di scarico e carico di merci il porto deve trasformarsi in hub energetico, una struttura capace di produrre energia». Da qui i 6,7 milioni finanziati dalla UE e investiti nel settore ambientale su 5 progetti (“cold ironing”, mezzi elettrici e apposite colonnine, sensori e droni anti inquinamento, illuminazione a LED, incremento di energia rinnovabile). Ma oltre a rendere sostenibile l’esistente, in prospettiva vi sono la collaborazione con il mondo scientifico per un parco eolico galleggiante e la produzione, in collaborazione con Saipem, di combustibile ad idrogeno dall’acqua marina. «Non si tratta di una transizione ma di un cambio di paradigma», sottolinea il presidente «di un’innovazione radicale del futuro».

Tags: ambienteAnversaeconomiaMaremarina mercantileportitransizione ecologicatrasportiTrieste
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Commenti 1

  1. Fabio S. P. Iacono says:
    5 giorni fa

    Quanta fretta nel firmare il pavido e scellerato “Trattato di Osimo” (1975). Dopo la disintegrazione dell’U.R.S.S. (Natale 1991) e della Jugoslavia (1992) Roma avrebbe dovuto riportare il confine orientale italiano nell’alveo del “Trattato di Rapallo” (1920). Il diritto internazionale lo avrebbe certamente avvallato e riconosciuto come legittimo compimento risorgimentale nazionale.

    Rispondi

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