Nel corso della sostituzione di un collega, mi viene in visita Juana, una sessantenne alla soglia della pensione, appena dimessa dall’ospedale per un grave scompenso cardiaco. Lavora da anni per un’impresa di pulizie in un grande nosocomio milanese. Mi chiede , dopo la “consulta”, se l’anno prossimo le sue condizioni di salute le permetteranno di tornare in Perù. Le spiego che se seguirà le terapie con assoluta costanza, sarà in grado di tornare. Mi racconta che vive sola a Milano , che ha tre figli sparsi per il mondo , che con grandi sacrifici ha fatto studiare. Uno adesso è “economista a Nuova York”, un’altra è dentista in Canada ed il terzo non ricordo, ma è piazzato bene. Mi spiega che il primo, il newyorchese, la chiama ogni settimana e le chiede come sta ogni volta ; lei risponde immancabilmente “muy bien” , per non farlo preoccupare e così fa anche con gli altri due fratelli quando le telefonano. Io replico che non è giusto, che potrebbe essere curata bene e vivere da regina, con tre figli in grado di mantenerla, che dovrebbe essere già in Perù , tranquilla e viziata. Ma lei non vuole dipendere da nessuno, è sempre stata libera, è orgogliosa che i suoi figli si siano riscattati da una condizione difficile come la sua. Insisto dicendo che se ha fatto tanto per loro è giusto che possano ricompensarla ora che è lei in difficoltà. Juana, sorridendo, dice che Dio le sarà vicino e non ha nulla da temere. Concludo io dicendo che se anche si dà una mano al Padreterno, non c’è nulla di male.
Juana ha trovato in Italia le risorse per far studiare i suoi figli ma questi , una volta laureati o diplomati, hanno scelto il Nord America, dove un futuro era più garantito. Per lei, il nostro paese è stato un momento di passaggio importante ma la meta finale è la sua patria, il Perù.
Vengo chiamato al domicilio di Giulio, per anni il mio barbiere, fino a quando non è andato in pensione. E’ stato travolto sulle strisce pedonali da una moto, su quella pista chiamata circonvallazione esterna, a Milano. In quel tratto di centocinquanta metri sono già morti in tre, per non parlare dei feriti. Ma i vigili del sindaco Sala, preferiscono dare le multe alle auto in divieto di sosta. Giulio ha subito tre fratture ad una gamba e una ad una vertebra ; è tutto fasciato e sembra un personaggio delle vignette della Settimana Enigmistica.
Quando entravo nella sua bottega di barbiere, sembrava di fare un viaggio nel tempo ; alle pareti erano appese le copertine della Domenica del Corriere, poi c’erano le pubblicità della brillantina Linetti, un ventilatore fisso dava aria al locale. Giulio , quando mi tagliava i pochi capelli, si dilungava con me, in discorsi da vecchio nostalgico, quelli di “quando c’era Lui, caro lei, i treni arrivavano sempre in orario”.
Ultimamente parlava dei migranti, indugiando in commenti sui neri , che avrebbero avuto il compiacimento solo di qualche membro esagitato del Ku Klux Klan. Con mia grande sorpresa ed anche un pizzico di divertimento, entrando in camera sua scopro che a medicarlo ed a cambiargli il catetere c’è un infermiere africano, inviato dalla Asl, che sembra sappia il fatto suo.
Giulio, tutto bendato ed ingessato , non può che affidarsi rassegnato alle sue sapienti cure. Sembra una scena del film francese “Quasi amici” , dove un miliardario parigino paraplegico in sedia a rotelle, viene affidato alle cure di un improvvisato badante senegalese, con qualche precedente con la giustizia. Due mondi lontani che si incontrano e alla fine si stabilisce una sorta di intesa, di quasi amicizia.
Nel nostro caso, la situazione non è così idilliaca, ma Giulio è un brav’uomo e i due troveranno un punto di accettazione reciproca.
L’infermiere merita tutto il rispetto perché è venuto dall’Africa, ha saputo trovare un lavoro ed integrarsi, acquisendo buone capacità professionali. Premesso che sia libero di decidere sulla sua vita, resta sempre aperta la questione del rapporto tra l’ Africa e i suoi figli che , una volta terminati gli studi in Occidente, invece di fare ritorno a casa, voltano le spalle al proprio paese, e non permettono di mettere a frutto la loro professionalità al servizio della propria gente.
Molti ragazzi africani di buona famiglia vengono inviati a studiare nelle migliori università della Gran Bretagna o degli Usa, ma la momento del conseguimento della laurea , si chiedono : “ Perché guadagnare dieci volte meno a casa mia, in un contesto sociale ed ambientale più difficile, quando nei paesi anglosassoni, di cui conosco perfettamente la lingua, mi trovo già inserito e vivrò decisamente meglio ?” La domanda, retorica, contiene già la risposta.
Così la carenza di medici ed infermieri in Africa si mantiene endemica e paradossalmente viene contenuta, non risolta, dall’attività di molti sanitari europei, che in modo volontario sacrificano le loro vacanze per andare a curare le popolazioni indigene, affiancandosi ai professionisti di organizzazioni come Medici senza Frontiere, che però, ricordiamolo, sono retribuiti.
In certe aree basterebbe anche solo un infermiere, perché per curare la malaria, la diagnosi è quasi sempre quella , le terapie sono a base di farmaci, spesso di provenienza cinese, da somministrare secondo schemi prestabiliti.
Il fenomeno immigrazione in atto oggi in Europa non è altro che una diserzione di massa di tutta una classe media africana, che ha le disponibilità economiche per affrontare il viaggio e che rinuncia alle professionalità acquisite in patria per raggiungere un Eldorado che li deluderà profondamente.
Se passate in piazza Napoli, a Milano, in un cantuccio ricavato dalla finestra di un seminterrato che dà sul marciapiede, da sei mesi trovate Tommy, un africano alto e forte, che siede lì tutto il santo giorno, a vendere cianfrusaglie . Percorrendo quel tratto quotidianamente, anche più volte, è inevitabile che abbiamo cominciato a salutarci, a chiederci come va ; Tommy è istintivamente simpatico, sorride sempre, non cerca la pietà altrui, non è fastidioso, non è invadente. Il suo fatturato mensile si aggirerà sui cinquanta euro al mese, a voler essere ottimisti. E’ evidente che c’è qualcuno, forse più d’uno, che gli dà da mangiare, tra cui il mio amico barista, fan di Salvini, e che ha un letto in cui dormire. Mi chiedo però che senso abbia al momento la sua vita : difende quel pertugio, quel suo spazio vitale, per vendere oggetti che qualcuno acquista, ogni tanto, per fargli un piacere, per pura simpatia. Ma da lì non sorgerà nessuna attività commerciale degna di questo nome. Forse un giorno la sorte busserà alla sua porta ed un’occasione capiterà ma, al momento, mi chiedo che vita sia questa lontana da casa, senza prospettive, senza amicizie, senza affetti. Al freddo d’inverno, tanto freddo, approfittando solo del buon cuore altrui ; o forse no, potrebbe anche essere sfruttato da qualche affittacamere senza scrupoli.
Un giorno , forse glielo chiederò, quando, a furia di incontrarci, diventeremo “quasi amici”.