Angelo Panebianco, sul Corriere della Sera di lunedì 8u.s., afferma che “non è praticabile” per l’Italia l’uscita dalla U.E., ma anche che restarvi “una sorte migliore non arride, checché ne pensino certi europei acritici”. L’alternativa sarebbe, a suo dire, riorganizzare l’Unione con un “accordo federale”, non meglio definito, se non nel “mantenere in comune la moneta ed in comune sottoscrivere i trattati internazionali e garantire il controllo dei confini”. A me sembra, se non zuppa, pan bagnato. E mi sembra che la soluzione sia, invece, proprio quella che lui esorcizza: il ritorno alla sovranità nazionale.
Da buon illuminista, Panebianco ritiene che lo sviluppo della storia sia lineare, progressivo e progressista. Io,invece, credo a Vico e all’andamento ciclico delle vicende umane.
(Quante civiltà sono state dissolte e sepolte! E quanti popoli sono decaduti e degradati!).
Dopo la caduta del muro di Berlino e la disgregazione dell’URSS, il mondo non è più bipolare, alla “guerra fredda” fra due gruppi egemoni sono subentrati molteplici e variabili conflitti, conseguenti alla subentrata multipolarità: oltre agli Stati Uniti e alla Federazione Russa, la Cina, l’India, i Paesi musulmani, l’America del Sud, la stessa U.E. –
La Nato non avrebbe più ragione d’essere, se non in funzione degli interessi statunitensi e della finanza collegata. E l’U.E. serve alla Germania ed alle economie sue satellitarie dei Paesi nordici e di quelli emancipatisi dall’ex Unione Sovietica. Ai Paesi dell’Europa Meridionale, in ispecie all’Italia, alla Spagna, al Portogallo, alla Grecia, ma anche alla Francia, offuscata dall’illusione di un ruolo paritario con la Germania, “la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi, dei capitali” ha arrecato ed arreca pesanti danni economici nelle manifatture e nell’agricoltura ed ha travolto con una vera e propria invasione della criminalità slava soprattutto l’ Italia, ventre molle della Comunità, compromettendone la sicurezza e la qualità della vita. Sicurezza e qualità del vita ulteriormente degradate dalla selvaggia immigrazione arabo-africana, che il Trattato di Dublino imprigiona prevalentemente in Italia. Sarebbe comico, se non fosse tragico, il blaterare di politici e giornalisti nostrani sul dovere dell’Unione Europea di farsi carico del problema: in effetti la marina dei nostri partner concorre a caricare naufraghi e fuggiaschi per sbarcarli sulle nostre coste.
E’ ora di cambiare. Cambiare ottica, per così dire, elaborare nuove strategie geopolitiche, per certi versi ispirate al passato, individuando i molti centri di gravitazione degl’interessi politici, economici e militari attuali e puntare su quelli più favorevoli ed affini. I mari Mediterraneo ed Egeo costituiscono un bacino naturale per l’Italia e gli altri popoli e Stato rivieraschi, dalla Turchia al Marocco, dalle Grecia al Portogallo. E’ la virtuale Unione Mediterranea prospettata da Sarkozy, prima della ricaduta nella presunzione gallica; novazione di un progetto antico, che Roma aveva realizzato, nelle condizioni allora date, e politici di grande statura dell’Italia moderna hanno coltivato: l’alleanza, se non l’integrazione, delle genti e delle risorse dell’area più creativa e vitale del pianeta terra.
Il presupposto culturale di un tale progetto e’ la rottamazione di pregiudizi utopici sempre, spesso ipocriti, che fanno inneggiare alle “primavere arabe”, generatrici di guerre, terrorismo e miseria. Il presupposto e’ riconoscere che l’evoluzione dallo stato tribale alla modernità ed alla conseguente laicità e libertà dei popoli passa spesso da rivoluzioni militari, come dimostra la storia della Turchia, dell’Egitto, dell’Algeria, della Siria e della Libia. Nelle società arretrate, nelle società liquide, nelle società fratturate, l’Esercito e’ spesso l’unico gruppo selezionato, aggregato ed aggregante, la sola classe dirigente disponibile. Del resto, il Risorgimento italiano non cominciò nelle caserme, da Avellino a Torino?
Usciamo una buona volta dalla gabbia ideologica e strutturale di un’Unione Europea, soggetta alle logiche strumentali della finanza, travestita da liberaldemocrazia, funzionale alle grandi lobby industriali e bancarie, di segno prevalentemente anglo-americano.
E promuoviamo con chi ci sta una rinnovata centralità mediterranea.
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