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L’altro volto della crisi/ Se i giovani italiani hanno paura di lavorare

di Redazione
6 Luglio 2014
in Home
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L’altro volto della crisi/ Se i giovani italiani hanno paura di lavorare
       

Lignano Sabbiadoro, sette chilometri di spiaggia. «Sa quanti italiani sistemano i lettini la sera? Uno solo, un pensionato, qui davanti al mio albergo, gli altri sono tutti stranieri».

Forse gli italiani preferiscono fare i camerieri. «Scherza? Quando chiamo le agenzie di lavoro temporaneo si mettono a ridere: non se lo sogni neppure, rispondono». Mara Bianchi è titolare dell’American Hotel, un quattro stelle affacciato su uno dei litorali più belli d’Italia, e non sa darsi pace: «Vorrei dare lavoro agli italiani, mi piange il cuore quando sento parlare di disoccupazione in crescita. Invece i nostri connazionali il lavoro non lo vogliono, lo rifiutano. Sono allibita. Si lamentano che non si trova lavoro, ma a me fanno rabbia: non lo vogliono».

Italia paradiso dei turisti, capitale dell’industria culturale. Economisti e sociologi sono convinti che si potrebbe vivere solo di questo patrimonio che offre tante opportunità di lavoro. Ma gli italiani rifiutano questi lavori. «Per la stagione estiva cercavo camerieri italiani – spiega Mara Bianchi – ne avremo visti almeno 20, nessuno ha accettato. Vogliono più soldi, giornate libere, orari rigidi. La paga di uno stagionale è più alta di un cameriere fisso, si prende tra i 1.500 e i 2.000 euro netti più vitto e alloggio. Chiaro, c’è da sgobbare: si fanno tre turni e non ci sono giorni liberi. Invece loro vogliono il sabato libero per andare a ballare, la domenica per vedere la fidanzata, chiedono più soldi perché hanno fatto la scuola alberghiera e si credono tutti Masterchef. Per meno di 3mila euro non si muovono. Discorsi che ho sentito di persona e che sento ripetere ovunque vada».
Assumere stranieri non è un ripiego. «I camerieri sono albanesi. Studiano, prendono un diploma triennale, imparano anche il tedesco perché qui è pieno di germanici e austriaci. Insomma, si danno da fare. Se c’è da cambiare una lampadina o fermarsi dopo la fine dell’orario perché la sala non è ancora sistemata, non fanno troppe storie. Da altre parti, come a Milano, sono quasi tutti del Bangladesh o dello Sri Lanka, anch’esse persone gentilissime e disponibili, che si aiutano tra loro e hanno voglia di imparare. Funziona così nei ristoranti, nei negozi, nelle case private».

La crisi dovrebbe moltiplicare le energie di chi cerca lavoro, mentre succede l’opposto. «In Grecia, per esempio, non succede così – racconta Bianchi -. Conosciamo Santorini, Rodi, Mykonos, e vediamo al lavoro soltanto ragazzi greci, anche laureati, molti di loro si pagano gli studi così, fanno la stagione estiva nelle isole e mettono i soldi da parte. Perché devono farsi portare via il lavoro? Da noi è diverso, preferiscono stare a casa piuttosto che fare i camerieri o i guardiani notturni sulle spiagge a sistemare le sdraio, eppure non sono lavori degradanti. È anche per questo che l’Italia va a remengo. I nostri hanno troppe pretese, a volte sono patetici».

Anche le donne delle pulizie sono straniere. «È così da anni – dice Mara Bianchi – nemmeno per brevi periodi o a ore. Al massimo possono accettare di stare alla reception anche se sono prive di qualunque esperienza. Ma per gli uomini è un fenomeno nuovo, fino a qualche anno fa non era così, i camerieri si trovavano, soprattutto gente del Sud che si adattava a fare la stagione lontano da casa. Adesso nemmeno questo. E noi non trattiamo male i dipendenti, le camere sono dignitose, non come le cuccette nelle crociere, e se si mettessero d’accordo qualche serata libera a turno potrebbero farla. No, gli italiani (soprattutto i più giovani e con meno esperienza) pretendono il giorno fisso, cioè tutti i sabati. Piuttosto stanno a casa a spese del papà: così rispondono nei colloqui di lavoro. Ma chi può dare stipendi più alti con questa crisi? Meno lavoro c’è, meno si lavorerebbe. E allora prendiamo gli albanesi, magari sbagliano gli accenti quando si rivolgono ai clienti in sala ma hanno una marcia in più».

 

Stefano Filippi. Il Giornale 8 luglio 2014

Tags: economialavoroturismo
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