L’elezione a presidente della repubblica di Sergio Mattarella, riesumato dal “frigorifero” (per usare una formula andreottiana) della Corte Costituzionale, induce ad alcune considerazioni perché, a mio avviso, essa indica anche una svolta storica nella politica italiana.
In effetti, a chi scrive sembra che con questa elezione si sia voluto porre fine a quella che si chiamava “seconda repubblica”, che era forzosamente e fortuitamente nata nel 1994 proprio per effetto della legge elettorale elaborata dallo stesso Mattarella come una specie di “eterogenesi dei fini” e che si basava sul bipolarismo: uno schieramento di centro-destra da un lato, ed un altro di centro-sinistra dall’altro.
Schieramenti che, adesso è apparso chiaramente, hanno avuto l’effetto (forse voluto da qualche oscuro ambiente complottista che ragiona per decenni e non per mesi? forse causale? forse determinato dall’attrazione perversa del potere che cancella progressivamente le aspirazioni ideali?) di far scomparire la seconda parte delle loro definizioni: da un lato è sparita la “destra”, dall’altro è sparita la “sinistra”, ed è rimasto, da un lato e dall’altro, solo il centro.
E’ plausibile pensare che durante il settennato di Mattarella, e non per sua volontà od azione ma per la forza delle cose, i due spezzoni di centro si riuniranno. E non lo faranno per volontà dei loro attuali esponenti, lo sbiadito Berlusconi da un lato e il trionfante Renzi dall’altro, ma per istinto di conservazione politica. Anche perché, probabilmente, il popolo italiano è stanco del bipolarismo con cui ha convissuto in questi anni che, poi, si è manifestato non per innovative e durature riforme sociali, economiche, costituzionali ma solo per un rimpallo di accuse del tutto risibili e distanti dalle vere problematiche nazionali. La dimostrazione è stata l’astensione massiccia delle ultime elezioni, od il voto per dispetto, senza alcun contenuto programmatico, per Grillo e le sue “5 Stelle”.
Ma analizziamo ora di chi siano le responsabilità di questa situazione.
Sgombriamo subito il campo dalla questione che riguarda la sinistra. In effetti, crollato il regime sovietico, la sinistra italiana nelle sue varie componenti (tranne pochissime e minoritarie eccezioni, ad esempio Marco Rizzo) ha trasferito sic et simpliciter il suo “internazionalismo” (che, psicologicamente e freudianamente potrebbe addirittura essere assimilato ad un desiderio quasi orgasmico e femminile di essere sottomessi) dal comunismo e dal proletariato al modello statunitense – ricordiamo l’attrazione di Veltroni per gli Usa e l’utilizzo, perseguito anche da Renzi, di terminologie inglesi per i congressi e per le leggi! – ed all’ammirazione per le banche, i banchieri, la finanza, i cui esponenti prendono per consiglieri (Renzi ha Carrai e Gutgeld….).
Ciò è stato descritto molto bene dal prof. Luciano Gallino nel suo libro “Il colpo di Stato di banche e governi”, dove dedica un capitolo proprio a questo “tradimento” della sinistra la quale ormai ha perso definitivamente qualsiasi progettualità; e l’ha persa perché ha sempre rifiutato il concetto di “Nazione” da collegare a quello di popolo. E sinceramente fa ridere vedere due settimane fa Vendola ed il suo “SEL” insieme alla presunta opposizione di Renzi da Fassina a Cuperlo inneggiare alla vittoria di Tsipras e poi votare silenziosamente e passivamente per un vecchio notabile democristiano! Sarebbe stato come se in Grecia avessero eletto un altro dei tanti Papandreu che si sono succeduti….
Il discorso è invece più complesso, ed nel contempo più semplice, per la Destra.
Berlusconi ebbe indubbiamente l’intuizione nel 1994 di unire tutte le forze che in una certa misura si rifacevano a principi nazionali (o locali, come la Lega, che comunque sempre ad una “piccola nazione” si ispirava) e sociali (gli ex-socialisti craxiani) per creare una forte coalizione. Una coalizione che superò indenne ostruzionismi e sconfitte elettorali, e che ha governato sostanzialmente per undici anni, peraltro mai consecutivi. Berlusconi, con quei governi, era assistito da ministri di qualità poi via via allontanati od allontanatisi. Ma il suo grande errore storico, assecondato purtroppo da un altro personaggio, fu quello di fare un partito unico, il PDL: idea che avrebbe anche potuto funzionare, a condizione che fosse stato un vero partito, con selezione dalla base della classe dirigente, con congressi che avessero fatto emergere nuovi leader e diversità di programmi, con mobilitazioni permanenti sul territorio, con vere elezioni e non nomine dei parlamentari. Invece, nulla di tutto ciò e quel partito perse progressivamente consensi, subendo scissioni e ritornando al nome originario di “Forza Italia”. Ma la colpa più grave fu quella della Destra Nazionale, riunita in Alleanza Nazionale, che era andata al governo senza una guida culturale ed ideologica, senza progetti di cambiamenti, senza iniziative autonome e – soprattutto – gestita da chi non credeva proprio a nessun principio se non al suo esibizionismo.
Quindi, a mio parere le colpe dell’attuale situazione di “ritorno al passato” sono speculari, sia a destra che a sinistra: entrambe quelle forze politiche hanno abbandonato e trascurato i principi che le avevano mosse, fatte crescere e diventare influenti tra la popolazione e nelle istituzioni. E mentre a sinistra la colpa è collettiva, nel senso che vi è stato una specie di “cupio dissolvi” nel liberalismo finanziario per rifugiarsi nei “diritti sessuali” dell’”omofilia” (forse, per richiamare l’esempio freudiano fatto sopra, un altro sintomo della sindrome della sottomissione…), a destra la colpa è individuale nel senso che prima ci si è affidati ad un presunto leader che aveva solo un superficiale carisma oratorio e poi non ha avuto al suo interno, tranne alcune eccezioni, dirigenti capaci di assumere un ruolo da protagonisti, con idee e formule nuove ma coerenti.
In conclusione, dopo questa elezione presidenziale molto sintomatica per la persona scelta e per la maggioranza che si è creata intorno a lui, si è ricreato il clima degli anni sessanta: una piatta vita politica e culturale, nel tran tran amministrativo quotidiano peraltro oggi indotto dalla passiva obbedienza alle “direttive” europee.
Speriamo allora che, partendo dall’esempio greco – che però non va enfatizzato – e contando sulla miriade di circoli, associazioni, movimenti che a destra si stanno formando e diffondono una certa cultura politica, possa avvenire un “sessantotto” che rivoluzioni tutti gli assetti esistenti. Stavolta, forse, il compito se lo dovranno assumere i giovani “nazional-popolari” presenti in misura ancora non ben conosciuta ma consistente in tutt’Italia.
Analisi acuta che condivido. Speriamo che l’auspicato “SESSANTOTTO” restituisca capacità ed originalità alle varie componenti della ns. “destra sociale e nazionale”, nello spirito dell’antica consegna romana: “Ex diversis componere unum”.
Primo Siena