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Home Penna Pellicola Palco

L’Apocalisse di Céline, profeta e visionario

di Francesco Marotta
10 Aprile 2018
in Penna Pellicola Palco
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L’Apocalisse di Céline, profeta e visionario
       

 

“[…] Bene, io dico quel che si fa sono romanzi inutili, perché ciò che conta è lo stile, e allo stile nessuno vuole piegarsi. Richiede un enorme lavoro, e alla gente non piace il lavoro, non vivono per lavorare, vivono per godere della vita, e ‘sta cosa richiede un enorme lavoro, molto, nevvero. […]”

 Andrea Lombardi è uno dei massimi conoscitori in Italia delle opere, della vita e del filo intricato, del pensiero di Louis-Ferdinand Céline. Un’impresa ardua, in primo luogo per le note distintive dello scrittore, saggista e medico francese, che porta avanti con estrema dedizione e passione, encomiabili. È già in uscita il suo Louis-Ferdinand Céline – Un profeta dell’Apocalisse. Scritti, interviste, lettere e testimonianza, con l’introduzione molto interessante di Stenio Solinas, pubblicato dalla Collana L’Archeometro di Bietti Edizioni.

Céline,Céline,Céline: Alors, on a décidé de prendre des vacances improvisées ? La risposta, sferzante, ironica, collerica e amichevole, la troverete leggendo questo libro. E quello che può sembrare essere un secco No, un’esortazione ad “andare a farvi fottere”, assumerà mille significati; quelle sfumature diverse di una vita irripetibile e di un ego sconfinato che nasconde, l’esperienza di profondo coinvolgimento che suscitò anche nei suoi pochi amici, nei suoi tanti amori e nella folta schiera dei nemici. Pronti, a testimoniare un’esistenza contraddittoria ma nel suo genere di tutt’altra natura: quell’essere costretto a dedicarsi alla scrittura, per riuscire ad acquistare una casa, pur volendo fare il medico; preferendo mandare in malora la «ragione», tipica dell’animale moderno, l’uomo.

Una delle attitudini di Céline era l’elaborazione di un télos, inteso come scopo, il senso, il fine ultimo dell’esistenza umana. Ma la sua «Condizione Umana», preferì invertire l’elemento antropologico – l’uomo ha un fine – con il romanzo distopico di una fine che determina l’uomo e della fine che si compie in vista di ogni azione – ogni azione si compie in vista di un fine – , concentrando ogni suo sforzo sull’elemento ontologico – tutta la realtà è ordinata a un fine – , senza badare ai pregiudizi che arrivarono copiosi.

La realizzazione “céliniana” invece, contro le idee e per uno stile, corrisponde ad una domanda banale e ad una risposta particolare: «Per chi scrive lei ? Scrivo mica per qualcuno. L’unico pensiero, una simile bassezza ! Si scrive per la cosa in sé». Inciso, sullo sfondo inquietante di un Occidente consumato dalle guerre, convertito allo «specialismo» generalista e conquistato dall’esercizio di un «professionismo» sensazionale. Eppure, l’ultimo dei “reietti” della letteratura francese ed europea, lo aveva già anticipato; riuscendo a leggere il canovaccio della sua epoca, come pochi sono riusciti a fare.

Nel periodo inglese, agli inizi del 1915, le scorribande a Soho e la passione per le ballerine lo porteranno a fare un incontro, per i lettori inaspettato: al Savoy, conoscerà Mata Hari, dispensatrice di conversazioni interessanti ed abile comunicatrice sul filo del doppio gioco. Il bohémien incazzoso e la spia incallita, abituata com’era a barcamenarsi e contrattare notizie scomode, prima ai tedeschi e poi ai francesi… Insomma, ce n’è abbastanza per scrivere un noir sulla fine della Belle Époque e sul Nostro, che nella seconda metà degli anni ‘50 fu uno degli ispiratori della Beat Generation.

Un trascorso di Céline che invoglia a pensare su quali argomenti verteva la conversazione, con un personaggio simile; esclusi, si fa per dire, il fascino e la sottana, della “figlia dell’ aurora”. Inoltre, grazie al lavoro di Andrea, scopriamo la commovente testimonianza di Karl Epting, l’amico romanziere che ingurgitó d’un fiato una delle evoluzioni umorali del fu “medico dei poveri”: Céline, l’anti-tedesco.

Appena dopo l’uscita di Bagatelles pour un massacre, i ricordi del suo amico che lo lasciò per sempre, fluirono spontanei. Spalancandoci così, uno squarcio su una peculiarità di Céline, cui molti hanno dedicato poca attenzione, erroneamente: secondo Epting, era «uno dei pochi veri cosmopoliti francesi che ha incontrato: non nel senso di Henry Bonnet o Alexis Léger, ossia dell’apparenza di un ceto sociale che è di casa da ogni parte del mondo, ma come un osservatore che conosce a fondo la situazione degli uomini e delle classi sociali nei diversi Paesi».

Non possiamo non condividere questo ricordo e la molteplicità, spesso binaria dell’animo del Dottor Destouches e del visionario Céline: il primo, l’uomo concreto e l’homo socialis ed il secondo, con le dovute precauzioni del caso, l’homo economicus e razionale che nonostante ciò, scriverà dei capolavori maledettamente bene e controvoglia. Ma leggendo le interviste che riguardano lo scrittore, il genio e l’irriverente, salta sempre fuori la sensazione di un interesse, nell’esagerazione.

Nonostante le memorie raccontino l’angoscia di un uomo che nel 1944 lasciò Parigi, assieme alla moglie Lucette e l’amato gatto Bébert a causa dello Sbarco in Normandia e l’incedere degli Alleati, secondo Ernst Jünger, era più di una certezza. Troviamo nel libro, una sua lettera inviata a Helmut Krausser, che mette in evidenza un rapporto mai nato tra i due. Céline e Jünger si conoscevano perché, come ha giustamente scritto Andrea, «frequentavano entrambi gli stessi salotti letterari parigini», pur essendo così diversi e senza mai instaurare, una reciprocità spontanea.

A dire il vero, la cosa tra i due andò peggiorando quando il filosofo tedesco, inserì delle annotazioni poco elogiative che lo riguardavano nel suo Diario 1941-1945, edito in Italia nel 1957 per Longanesi e tradotto da Henry Furst, dove compare con lo pseudonimo di Merline. Quando Céline era già tornato a Parigi, alla fine del soggiorno obbligato a Sigmaringen e dalla Danimarca, venne a conoscenza dei passaggi che lo riguardavano. La sua reazione, non tardó a farsi sentire.

Per Céline, Jünger era diventato l’ennesimo capro espiatorio, quell’occasione in più per amplificare l’eco perenne del torto subito, da sbandierare ai quattro venti: «Per lui ero diventato ormai, come mi è stato riferito, uno sbirro». Raramente, troviamo la stessa auto-magnificenza con se stesso, rivolta ad altri per essere costantemente, al centro dell’attenzione. Ma questo era Céline, prendere o lasciare. E non è un azzardo scrivere che questo libro, riuscirà a sorprenderà anche i non “céliniani” più agguerriti.

 

 

Louis-Ferdinand Celine

 Louis-Ferdinand Céline. Un profeta dell’Apocalisse.

Scritti, interviste, lettere e testimonianza

 A cura di Andrea Lombardi

prefazione di Stenio Solinas

 Bietti Edizioni, Collana L’Archeometro, 2018,

Ppgg. 500, euro 25.00

 

 

 

 

 

 

Tags: Bietti editoreCéline
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