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L’Arabia si copre di binari. L’impegno delle aziende italiane

di Marco Valle
4 Gennaio 2021
in Home, Mondi
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All’inizio del Novecento gli arabi s’innamorarono perdutamente dei treni e delle locomotive. Fu il tempo della ferrovia dell’Hegiaz, la lunga strada ferrata (1322 chilometri) che attraverso il deserto collegava Damasco e Amman a Medina. Voluta dal sultano di Costantinopoli e finanziata dalla Germania guglielmina, la linea fu inaugurata il 1 settembre 1908 e rappresentò per la sabbiosa e sonnolenta penisola l’ingresso nella modernità. Un breve sussulto presto interrotto dalla rivolta araba scatenata dagli inglesi durante la prima guerra mondiale. Dal 1916 la linea divenne l’obiettivo principale dei guerriglieri beduini guidati da Thomas Edward Lawrence, il fascinoso agente inglese divenuto famoso come Lawrence d’Arabia. Come nel pluripremiato film di David Lean (7 Oscar), “El Orens” — interpretato da un Peter O’Toole in stato di grazia — colpì ripetutamente la ferrovia. Una tattica vincente che paralizzò i movimenti delle truppe ottomane decretando la fine del ramo meridionale: nel 1919, dissolto l’impero ottomano, restarono in funzione solo la rete siriana e quella giordana (tutt’ora parzialmente attiva).  Il resto fu smantellato o abbandonato. Solo qualche binario contorto sperduto nel deserto ricorda gli sbuffanti convogli del sultano.

Nei decenni seguenti, tutti all’insegna del petrolio e delle automobili, quasi nessuno s’interessò di questioni ferroviarie: nel 1951 l’Arabian American Oli Company (ora Saudi Aramco) aprì una piccola linea da Dhahram, il suo quartier generale, verso i porti del Golfo Persico e poi un collegamento da Damman alla capitale Riyadh. Poca roba.

Poi allo scoccare del Terzo millennio, con l’avvicendarsi nei gruppi dirigenti delle nuove generazioni — più attente al futuro e capaci di visioni sul lungo periodo —, i sauditi hanno riconsiderato il loro modello di sviluppo. Una scelta obbligata: secondo i dati la popolazione dell’Arabia Saudita sta crescendo rapidamente, con il 70% della popolazione al di sotto dei 34 anni, aggiungendo nuova pressione alle autorità per soddisfare inediti bisogni economici e urgenze sociali. Una delle risposte a queste sfide è stato l’investimento nelle infrastrutture pubbliche e un nuovo interesse verso il trasporto su ferro. Senza badare a spese.

Nel 2018 è entrata in funzione Haramain, la prima linea ad Alta Velocità del Medio Oriente che collega su un tracciato di 453 chilometri Jeddah alla Mecca e Medina, le due città sante dell’Islam. Un successo pieno con 20 milioni di passeggeri. Man mano che l’opera prendeva forma e i convogli iniziavano a sfrecciare, la Saudi Railways Company (forte un finanziamento di 590 miliardi di dollari) ha varato un ambizioso piano di investimenti trentennale e in pochi anni il regno ha iniziato a coprirsi di binari e stazioni sopra e sotto terra. Accanto ai vari prolungamenti attualmente in corso della rete AV, a Riyadh procedono alacremente i lavori per la nuova metro, il più grande progetto di metropolitana cittadina del mondo: sei linee, 84 stazioni, 175 chilometri di tracciato.

Il dinamismo dei sauditi ha presto contagiato i loro vicini convincendoli ad imboccare a loro volta la via del ferro e della mobilità urbana sostenibile. Come confermano i report dell’Middle East Rail, per treni d’ultimissima generazione, metropolitane driveless e nuove reti integrate di trasporto gli Emirati Arabi Uniti hanno stanziato 250 miliardi dollari, il Bahrain 28, il Kuwait 22, l’Oman 17. In più sono previsti, su tutta la regione, progetti per ponti, strade e tunnel pari a 140,6 miliardi.

Investimenti giganteschi ma necessari. Per l’Arabia Saudita e le monarchie del Golfo Persico i grandi piani ipertecnologici ed ecosostenibili sono indispensabili per la gestione dell’inarrestabile processo di urbanizzazione dell’area (ricordiamo che soltanto Riyadh entro il 2030 avrà 8,3 milioni d’abitanti) e i conseguenti problemi ambientali. Da qui la drastica riduzione dell’inquinante trasporto su gomma e una serie di progetti avveniristici come quello di Dubai, che ha fissato al 2030 l’automazione del 25 per cento del trasporto pubblico, o dell’Etihad Rail, un collegamento ferroviario di 1200 chilometri tra gli Emirati, Arabia Saudita e Oman che dovrà trasportare ogni anno 16 milioni di persone.

La travolgente passione araba per i binari è ovviamente una grande occasione per le aziende internazionali del settore. Italiane comprese. Nel regno dei Saud le Ferrovie dello Stato tramite Italferr, un’eccellenza dell’ingegneria nazionale, ha da poco concluso la progettazione di Landbridge, il collegamento transarabico di 1300 chilometri tra il porto di Jeddah sul Mar Rosso e la città di Al Jubail sul Golfo, ed è ora impegnata nell’estensione dell’Alta Velocità; in Oman i nostri tecnici stanno realizzando la nuova rete ferroviaria nazionale, un reticolo di 2245 chilometri di binari. In Qatar, assieme a Webuild (ex Salini Impregilo), Italferr è al lavoro sulla nuova linea della metropolitana che collegherà la capitale Doha con il nuovo aeroporto internazionale e il centro residenziale di Lusail.

Ma, come sopra accennato, la scommessa più impegnativa è la metropolitana di Riyadh. Uno dei tre consorzi coinvolti è guidato proprio gli italiani di Webuild. A loro il compito più impegnativo: dar vita alla più lunga delle sei linee (41,2 km), la Linea 3 (Orange Line). Un appalto che vale 5,94 miliardi di dollari ma soprattutto una partita estremamente complessa: lungo la parte occidentale il percorso è per lo più in superficie, nella parte centrale diventa poi sotterraneo e nell’area est si presenta “livellato”.  La linea è composta da 22 stazioni metropolitane fra cui le due stazioni principali “Qasr Al-Hokm” e la “Western”, 2 depositi adibiti alla manutenzione situati alle estremità occidentali ed orientali e 6 parcheggi. Buon lavoro, dunque, agli italiani d’Arabia.

Tags: Arabia SauditaEmirati Arabi UnitiLawrence d'ArabiaOmantrasportitrasporti ferroviaritreni alta velocità
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