Vorremmo soffermarci su due argomenti trattati dalle cronache di questa torrida estate, tralasciando altri ugualmente gravi su cui ci si occupa in altra sede, quali l’immigrazione e la barbara avanzata dell’Isis in Irak, Siria e Libia.
Ci riferiamo in particolare all’autodistruzione giovanile nelle discoteche e nelle varie “movide” cittadine, ed all’arrogante esibizione di potenza della criminalità, peraltro di origine e ramificazione zingaresca, manifestata nei funerali del clan della famiglia Casamonica a Roma. Un clan, sia detto per inciso, notissimo a Roma da decenni, spesso oggetto di transitorie operazioni di polizia alla ricerca di droga od oggetti ricettati, ma che non ha mai avuto plateali attenzioni da parte di autorità statali quali il procuratore generale Pignatone che si è voluto far propaganda con le incriminazioni definite “mafia capitale”; ed il prefetto Gabrielli, autodefinitosi a suo tempo “di sinistra”, che manda la polizia a manganellare i cittadini delle borgate che protestavano contro l’immissione forzosa e non concordata preventivamente d’immigrati clandestini ma non usa lo stesso spiegamento di forze contro le numerose ville dei Casamonica, peraltro tutte abusive e – ci scommettiamo – che non hanno mai pagato Ici, Imu, Tasi e via dicendo come fanno i poveri fessi dei comuni cittadini romani.
Come pure, non ci risulta che l’Agenzia delle Entrate ed Equitalia, così rigide con i contribuenti, abbiano mai effettuato una verifica tra le ricchezze pubblicamente mostrate (auto di lusso e di grossa cilindrata, rubinetterie d’oro, orologi di pregio) ed i modestissimi redditi denunciati, quando è stato fatto. E la Guardia di Finanza forse ha altre cose da fare, ad esempio controllare i registri contabili dei commercianti ma non i proventi furtivi delle ricchezze esibite.
Per quanto riguarda poi i giovani che nelle discoteche, nei pub, ed in altri posti simili si drogano, bevono, effettuano atti al confine tra l’orgia ed il ritorno ancestrale ai riti della giungla, guidano ubriachi provocando incidenti, i fatti sono eloquenti come i decessi che ogni tanto avvengono dentro e fuori quei locali.
Riguardo a tutti questi episodi, la mattina del 21 agosto l’ex-ministro democristiano Cirino Pomicino ad “Agorà” ha fatto un’osservazione che merita attenzione e riflessione. Egli ha detto che i fatti sono di per sé eloquenti aggiungendo però che per controllare – ed anche influenzare moralmente e civilmente – un territorio non basta l’intervento delle autorità ufficiali (Sindaco, Prefetto, Questore e forze dell’ordine) ma occorre anche la “politica”. E per “politica” s’intende non tanto la presenza nei seggi comunali o regionali dei consiglieri, ma la presenza vera e propria sul territorio, sui quartieri, sulle zone a maggior degrado pubblico.
A nostro parere, quest’osservazione di Pomicino è acuta e fondata. Se noi pensiamo a com’erano le città trent’anni fa, ricorderemo che in ogni quartiere o rione vi era la chiesa (sul cui degrado inarrestabile ci sarebbe molto da scrivere, e lo faremo) con il suo “oratorio” che era anche luogo di divertimento e formazione per i giovani; la stazione dei carabinieri; la delegazione comunale poi divenuta circoscrizione: ma vi erano anche, ben visibili, le sedi dei partiti. Di quasi tutti: la DC, il PCI, il MSI, il PSI e via dicendo, dove si discuteva, si apprendevano elementi di storia ed amministrazione pubblica, si leggeva, si giocava, si attaccavano manifesti, si organizzavano feste locali, si faceva sport. Certo, qualche volta si faceva anche a botte con gli avversari, magari dirimpettai: ma anche questo faceva parte delle regole del gioco politico, e comunque lo scontro era sempre formativo.
Se si pensa che solo trent’anni fa gli iscritti ai partiti erano milioni, e che i militanti – quelli che frequentavano le sezioni – erano centinaia di migliaia, tra cui prevalevano i giovani (nel Fronte della Gioventù missino, nella FGCI comunista, nella FUCI democristiana ed anche molti repubblicani), comprenderemo come ha ragione Pomicino quando afferma che “il territorio era presidiato anche dai partiti” i quali, in qualche modo, rappresentavano anch’essi lo Stato, pur con tutti i loro difetti.
Oggi, il vuoto assoluto ha comportato – oltre che l’ignoranza, l’egoismo, il piacere fino a sé stesso, l’autodegradazione – anche il ripiego verso altri luoghi di aggregazione, quali da un lato le discoteche, i pub e le movide di strada e dall’altro la criminalità più o meno organizzata, magari inizialmente veicolata dallo spaccio di droga.
Ma chi ha voluto tutto questo? Saremo considerati dei fissati, ma noi pensiamo che tutto sia cominciato dalla fine della cosiddetta “guerra fredda” (a proposito, c’è un bel libro di Sergio Romano, il quale afferma che la “guerra fredda” era pace, e che ora, senza quella “guerra fredda” c’è la guerra) quando Oltreoceano si temeva la coscienza e la passione politica degli europei e degli Italiani in particolare che avrebbero voluto essere finalmente indipendenti. Cosicché si cominciò a fare un’insistente propaganda sulla “fine delle ideologie” e si misero in moto i meccanismi giudiziari e le riforme elettorali per eliminare partiti e rappresentanze, appunto, ideologiche.
Il risultato è un parlamento di nominati, partiti trasformati in piccole “corti” di servitori del “sovrano” e di nominati (e da questo punto di vista ha ragione Galantino a parlare di “harem”, anche per le inusuali presenze femminili prive di qualsiasi competenza e militanza), assenza totale di sedi e di luoghi di confronto, con i giovani ed anche gli anziani abbandonati a sé stessi: a perdersi nelle fumisterie delle discoteche (che sembrano ormai simili alle “case dell’oppio” della Cina del primo novecento) oppure a seguire ammirati le gesta dei Casamonica di turno.
Tornare alla politica, quindi, è più che mai necessario cominciando a tornare per strada con sedi visibili ed iniziative concrete, ispirandosi ad “idee forti”, per poter abbattere un sistema che sta attuando le vivide anticipazioni di George Orwell, sia nella “Fattoria degli animali”, sia in “1984”.
Cultura dello sballo: lo stato apre tabaccherie e sale giochi davanti alle scuole medie (è successo dove abito).
Cultura della violenza: nei negozi si vendono tranquillamente agli undicenni videogiochi che hanno per oggetto furti e omicidi a catena.
Perché stupirsi poi se un ragazzino è ricoverato in coma etilico nella civilissima provincia di La Spezia?