Ormai non ci facciamo più caso, ma sui media non cessa l’ossessivo e quotidiano messaggio sull’Occidente minacciato da Est, da dove il pericolo non avrà mai fine. Sembra che nulla sia cambiato dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Ma è proprio così?
La Russia è un competitor, certo, come la Cina e altre potenze emergenti. Ma i competitor di Italia ed Europa non sono solo a Oriente. Sappiamo già che saremo tacciati di putinismo o d’intelligenza col nemico (sì, nemico che non abbiamo scelto noi), ma poco importa, non sarà certo questo ostracismo che ci impedirà di esprimerci liberamente.
Quindi, per quanto continuino a martellarci con l’equazione Russia=Urss, con il teorema dell’emergenza democratica perenne, non dovremmo lasciarci condizionare. Vogliono farci credere che le mire del Cremlino siano quelle del passato, con i carri armati a Budapest e a Praga fino ai cavalli dei cosacchi che si abbeverano alla fontana di San Pietro. Solo un ingenuo può dare credito a queste tesi.
Paradossalmente assistiamo a un processo inverso negli anni successivi alla caduta del Muro di Berlino. Il Patto di Varsavia ha cessato di esistere, ma sull’altro fronte è rimasto tutto inalterato, come se la guerra fredda non fosse mai finita. La Nato continua a essere il faro, ben orientato da Oltreoceano, della geopolitica occidentale. E poco importa se la sua strategia cozzi con gli interessi nazionali degli Stati europei. L’Alleanza Atlantica ha avuto e ha lo stesso atteggiamento espansivo del tramontato Patto di Varsavia, solo che invece di scatenare i carri armati preferisce regalarli (anche se in verità il dono ha un prezzo).
Serve qualche numero per rendere chiaro il concetto? Eccoli. Dalla caduta del Muro la Nato si è allargata a Est di oltre mille chilometri. Nel corso di questi anni i membri dell’Alleanza sono passati da 16 a 31, ben 15 in più e tutti nell’Europa orientale, verso il confine russo. Non è espansione questa?
Siamo lontani da quella partita a scacchi giocata dall’America e dall’Unione Sovietica all’indomani della caduta del Muro. Nel febbraio 1990, il leader della Casa Bianca George Bush senior, con lungimiranza e consapevolezza che il mondo stava cambiando, garantì a Mikhail Gorbaciov, ultimo presidente dell’Urss, che l’America non avrebbe “ballato sul Muro di Berlino”. E l’allora segretario di Stato Usa, James Baker, affermò senza mezzi termini che la Nato non si sarebbe allargata verso Est “neppure di un pollice”. Era un accordo non scritto in cui l’Occidente e l’Alleanza Atlantica si impegnavano a non spostare a oriente le frontiere, a eccezione delle repubbliche baltiche. Per Bush era importante mantenere l’equilibrio in Europa, il comunismo era caduto e non c’era alcun motivo per destabilizzare la Russia. Un impegno che non è stato mantenuto. Da allora, grazie anche alla disgregazione dell’Urss e all’iniziale debolezza di Mosca, la Nato ha spostato sempre più a est i confini, inglobando Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia, Croazia, Albania, Montenegro, Macedonia e Finlandia. L’ultimo obiettivo, per arrivare alla frontiera russa, era l’Ucraina.
“Lo spirito di quegli accordi è stato rotto perché concordammo che le infrastrutture Nato non si sarebbero estese nella Germania dell’Est – aveva detto Gorbaciov nel 2014, quando la crisi ucraina aveva fatto scattare le prime sanzioni europee contro Mosca -. Poi hanno cominciato ad accettare nuovi Paesi nella Nato, violando lo spirito di quegli accordi”. L’ex presidente dell’Urss aveva spiegato che l’idea principale era la graduale trasformazione della Nato e del Patto di Varsavia da alleanze militari in organizzazioni politiche. Ma così non è stato. “Ci impegnammo a non perseguire la superiorità militare sull’altro. E’ quanto succede ora? No”.
Addio a possibili organizzazioni politiche, ma addio anche al Patto di Varsavia: non c’è stata una nuova alleanza militare a Est che muova verso Ovest, ma ne è rimasta una a Ovest, la Nato, che muove verso Est. Ed è solo nel febbraio 2022 che vediamo per la prima volta i carri russi uscire in forze dai propri confini per invadere l’Ucraina.
Che a Mosca sia regnata una sindrome d’accerchiamento appare palese. Come si sentiva la Germania, ancora divisa, con un milione di soldati e migliaia di mezzi corazzati con la stella rossa che incombevano sul suo confine orientale? Probabilmente era nervosa come Mosca.
Gli Stati cuscinetto o non allineati sono una costante nella storia, antica e moderna. Garantire che non incombano minacce dirette ai propri confini significa avere una visione strategica, oltre che a impedire di essere colti di sorpresa nel caso le relazioni tra potenze possano degenerare. È semplice geopolitica, non una colpa. È tutela degli interessi nazionali, non una minaccia. Questo non significa approvare gli atti di guerra, ma neppure giustificare chi, consapevole delle conseguenze, non ha fatto nulla per impedirli.
Ma da troppi anni siamo abituati a non difendere i nostri interessi nazionali e così non comprendiamo, anzi, consideriamo ambiguo e pericoloso se qualcun altro lo fa. Siamo stanchi di sentire autorevoli politici nazionali, anche nel centrodestra, che parlino di “ortodossia atlantica”. Ma è diventata una religione? Dobbiamo essere ciecamente fedeli a un culto che non ammette eresie pena il rogo (mediatico e non solo)?
È tempo di riprendere a guardare il mondo volgendo la testa in ogni direzione, senza che qualcuno continui a tenercela bloccata, costringendo i nostri occhi a un unico orizzonte.