Passate le elezioni, chiuse le urne, rifluite le tifoserie, ragioniamo con tranquillità sul “lato oscuro” di questa pessima campagna amministrativa. Prima di tutto una domanda. Che cosa accomuna la squallida vicenda di sesso e droga che ha travolto Luca Morisi, sopravvalutatissimo guru della comunicazione di Salvini, e la pochade che ha travolto invece Carlo Fidanza, eurodeputato e importante dirigente di FdI? Prima di tutto la dabbenaggine di chi è cascato in trappola. In entrambi i casi una miscela di ingenuità ed inadeguatezza che lasciano stupiti. In un mondo succube dell’invasiva egemonia mediatica della sinistra e in un periodo di strumentale antifascismo da bava alla bocca, chiunque rivesta incarichi importanti nella destra dovrebbe sapere che squallide provocazioni e/o torbide manovre dirette a screditare ed infangare fanno parte di un copione vecchio e scontato che si ripropone sempre uguale, più puntuale di un treno svizzero, e dovrebbe quindi comportarsi di conseguenza cercando di essere inattaccabile.
Gli scandali sessuali, più o meno conditi di droga, sono sempre stati un classico della lotta politica ad ogni latitudine, un’arma efficacissima per azzoppare avversari scomodi. Una lunga e consolidata tradizione, dal caso Montesi – utilizzato da Amintore Fanfani per liberarsi del temibile Attilio Piccioni – all’affare Profumo nell’Inghilterra del 1963 – che provocò la caduta del governo di Harold MacMillan – fino al caso di Gary Hart, favorito alle elezioni presidenziali USA del 1988, bruciato dalla scoperta di una relazione extraconiugale. Si parva licet componere magnis, ovviamente.
Luca Morisi non poteva non sapere, o quanto meno avrebbe dovuto porsi il problema, che ricercare partner occasionali in ambigui siti di incontri avrebbe potuto esporlo facilmente a ricatti e manipolazioni, come poi è accaduto. Le ricostruzioni che si sono sovrapposte nei resoconti di una stampa faziosa, come sempre più impegnata a bastonare per conto dell’editore che ad informare, non possono che rafforzare certi sospetti: è verosimile che, stando almeno a quanto si legge, due escort rumeni con uno zainetto pieno di droga chiedano ai Carabinieri di essere protetti da un cliente che si rifiuta di pagarli?
Lo stesso vale, ovviamente in una situazione lontana mille anni luce da quella di Morisi, per Carlo Fidanza che si è fatto accalappiare, con incredibile ingenuità, da una ben studiata provocazione pseudo giornalistica, un altro grande classico della lotta politica come ci ricorda, ad esempio, il caso Pecorelli. Di “giornalisti” più o meno teleguidati a disposizione per colpire bersagli indicati dal mandante di turno il sottobosco dell’informazione è ed è sempre stato pieno. In questo caso, poi, la classica tecnica delle rivelazioni centellinate a puntate secondo il ben noto schema avvertimento-pressione, che costringe il bersaglio in una situazione di sudditanza e soggezione, la dice lunga sulla logica dell’operazione.
Detto questo, però, non si può ignorare che la portata di un episodio del genere vada anche oltre il caso specifico ed investa, sul piano politico, il problema – segnalato da tempo e da molti (inascoltati) – dell’adeguatezza dei quadri della destra politica italiana. Ci si può candidare alla guida del paese con una classe dirigente che non solo non è all’altezza dei problemi da affrontare ma che, anzi, è rimasta ad un livello inaccettabile d’impreparazione? E’ difficile non condividere, anche senza voler fare di ogni erba un fascio, il severissimo giudizio di Franco Cardini su FdI: “crogiuolo umano […] politicamente penoso, ceto piccolissimo borghese che vive nella paura della retrocessione sociale”.
In fondo è proprio questo che racconta la comica sceneggiata subdolamente carpita dagli abili guardoni-giornalisti, un aspetto che la stessa Giorgia Meloni, giustamente infuriata, ha colto immediatamente: “come si fa a frequentare certa gente per prendere 30-40 preferenze in più? Come si fa a parlare di “black” e assurdità simili?”.
Succede quando si vuole aspirare a compiti importanti ma i mezzi restano quelli, limitati ed inadeguati, di chi ha non ha alle spalle studi seri, esperienze significative, basi culturali solide, profonda conoscenza dei problemi. Da tempo, oramai, la semplice militanza di partito non è più sufficiente per preparare i quadri alla complessità dei tempi e dei problemi. Dirigenti emergenti che di fronte alla proposta di discutere seriamente di economia, finanza, geopolitica o problemi sociali ti rispondono che sono solo “masturbazioni mentali” (usando un altro termine) e che l’unica cosa che conta è la “rappresentanza” (cioè i posti da occupare) per cui il bravo militante non è quello che pensa, che legge, che approfondisce e discute ma solo quello che sventola bandierine alla carnevalata di turno o che non si perde un banchetto con relativo selfie.
E’ così che si arriva a giocarsi la faccia per 30 o 40 voti: non conoscendo minimamente il mondo della finanza e dell’imprenditoria, non avendo mai visto da vicino un finanziere o un imprenditore, non avendo la minima idea di come funzionino certi ambienti si finisce per farsi prendere in giro per tre anni da un volgare provocatore senza mai avere avuto un sospetto e senza che a nessuno sia venuto in mente di verificare, cosa peraltro semplicissima, chi fosse e cosa facesse veramente. Solo miopia, superficialità e l’abitudine ad occuparsi di gestione spicciola e banale possono spiegare come ci si possa ritrovare a chiedere soldi “black” ad uno sconosciuto per pagare il conto del bar.
Per non parlare dell’affidarsi a figure imbarazzanti, buone solo a perpetuare l’eterna caricatura del “fascista” che più fa comodo agli avversari. Millantatori, esibizionisti e chiacchieroni figli di una sottocultura superficiale e grottesca che, come un boomerang, salta sempre fuori al momento meno opportuno. Anche qui per 30 o 40 voti magari più immaginari che reali.
Lo squallido lavoretto confezionato dai sicari giornalistici di FanPage in fondo racconta una storia di limiti, di incapacità a confrontarsi con la realtà che conta, di uscire dalla propria comfort zone, come quei milionari che dopo avere fatto fortuna ed essere diventati ricchi e famosi continuano a frequentare i vecchi amici di sempre, rimasti poveri e modesti, all’osteria del paese dove si può ruttare a tavola, toccare il culo alla cameriera e ridere per le battutacce sul sesso. E’ questo il vero problema di cui la destra politica si dovrebbe occupare, al di là del singolo caso e del folclore e del cattivo gusto di certe esibizioni.
Detto questo c’è qualcos’altro che accomuna i due episodi: il timing. Senza scomodare Sherlock Holmes, non è certo una coincidenza che due vicende del genere, nate a quanto pare molto tempo prima, saltino fuori di colpo in sincronia perfetta a pochissimi giorni dalle elezioni. Le modalità di sviluppo di entrambe le situazioni non sembrano lasciare spazio a molti dubbi: nel caso di Morisi persino la procura è rimasta sorpresa dal modo in cui la questione (di per sé penalmente poco rilevante) è deflagrata sui media, mentre su come siano andate le cose, come si è detto, le anomalie (o le conferme se le si guarda da un altro punto di vista) sono alquanto evidenti e non è certo assurdo pensare ad un tipico lavoretto da servizi.
Nell’altro caso la polpetta avvelenata pazientemente confezionata da una testata scandalistica del sottobosco mediatico in ben 3 anni di lavoro (che qualcuno avrà retribuito), montato ad arte e sparato nel programma più fazioso della rete TV più faziosa, proprietà di un editore attualmente in difficoltà e bisognoso di appoggio, non può non destare sospetti. Anche, come si è detto, per le modalità con le quali le “rivelazioni” verranno sapientemente dosate.
Due siluri, o due avvertimenti, lanciati contro bersagli ben precisi con scopi che appaiono evidenti: i manovratori non vogliono essere disturbati, nemmeno dai voti, per cui meglio adeguarsi ed allinearsi finchè si è in tempo: vale per Salvini, che non deve disturbare l’ala governista della Lega, vale per la Meloni, che se non vuole guai deve abiurare pubblicamente, come un qualunque Gianfranco Fini, e convergere in fretta verso il centro moderato molto più di quanto non stia già facendo. Il seguito proverà chi aveva torto, come direbbe Fabrizio De Andrè.
Sono d’accordo con quasi tutte le osservazioni dell’autore.
Conosco personalmente Fidanza, così come altre persone che figurano nell’ inchiesta giornalistica (Bobo Ionghi, Maurizio Murelli e altri). E’ chiaro che l’ingenuità di Carlo lo ha portato a “depistare” dal suo solito atteggiamento maturo e inappuntabile.
Ma la Destra Italiana ha un legame metapolitico col Fascismo che è stato più volte spiegato, argomentato, definito da molti intellettuali di area ma che è rimasto politicamente e culturalmente sospeso e inespresso. Relegando così chi rivendica quei legami a farlo in modo smodato e macchiettistico, e diventando facili prede di “inchieste” faziose e profondamente bugiarde.
E tutte le manifestazioni di “antifascismo” di Destra lasciano un “non detto” molto ipocrita perché la Destra italiana non potrà mai essere “antifascista”. Sarà bene che anche siti come questo affrontino l’argomento in modo moderno e approfondito.