S’infittisce sempre più la faccenda del passaporto siriano identificato in Serbia prima e in Croazia poi, lungo la cosiddetta rotta dei Balcani, e ritrovato nei pressi dello Stade de France dove si è fatto esplodere uno degli autori delle stragi a Parigi. In Serbia, infatti, risultano entrate ben otto persone con il passaporto intestato al nome di Ahmad Almohammad, lo stesso riportato sul passaporto siriano trovato accanto al corpo del terrorista. A riferirlo è il quotidiano belgradese Politika, precisando che degli otto possessori dello stesso passaporto cinque provenivano dalla Siria e tre dall’Iraq.
Sempre secondo Politika le impronte del terrorista suicida hanno «concordanze» con quelle del “migrante” registrato in Grecia il 3 ottobre, il 7 ottobre in Serbia e il giorno successivo in Croazia «era stato fermato il 20 ottobre con altri 50 migranti mentre tentava di passare attraverso il tunnel della Manica per andare in Gran Bretagna». Le fonti sono del ministero degli Interni serbo «che ha ottenuto informazioni dall’Interpol». L’uomo «è stato poi trasferito dalla polizia francese a Nimes, poi Tolosa e infine Parigi».
Intanto la polizia serba ha arrestato un uomo con un passaporto siriano simile a quello trovato vicino al corpo di uno degli attentatori di Parigi. Il documento porta stessi nome e dettagli, ma fotografia diversa e i serbi ritengono che entrambi i passaporti siano falsi.
La pista balcanica assume così importanza e concretezza. Gli investigatori sono convinti che i terroristi s’infilino tra la massa dei disperati in marcia verso la Germania per poi contattare la base locale dove trovano armi ed esplosivo necessari per portare a termine le missioni per le quali sono stati addestrati in Siria.
I servizi di sicurezza serbi assieme alle autorità di Bosnia-Erzegovina indagano ora i collegamenti tra i “feudi” jihadisti in Bosnia-Erzegovina e il califfato. Non a caso: la situazione nei cantoni islamici è sempre più allarmante. Da mesi a Sarajevo stanno arrivando «quelli con le barbe e le preghiere strane», come li definiscono allarmati i musulmani bosniaci, e che hanno praticamente “occupato” il quartiere di Dobrinja. Mentre a Gornja Maoca, Dubnica, Osva, Orasec gli estremisti hanno praticamente insediato dei veri e propri “feudi” wahabbiti da dove partono i “volontari” per la guerra santa in Siria. Per non parlare delle armi che girano da quelle parti il cui traffico è gestito dalla mafia erzegovese e da quella montenegrina. L’altra parte dell’Adriatico diventa sempre più insicura.