In questi giorni, abbiamo letto commenti stupiti e preoccupati sul fatto che la Russia abbia risposto alle sanzioni stabilite dall’Unione Europea contro di essa a proposito della questione ucraina applicando per reazione il divieto di acquisto dei prodotti, soprattutto agricoli, provenienti dai Paesi europei: cosa che danneggerà gravemente l’Italia ed il suo comparto agro-alimentare.
Lo stupore dei commentatori politici ed economici è veramente…stupefacente: com’era possibile immaginare che un grande Paese come la Russia, peraltro dotato di grandi risorse e di una sostanziale autonomia economica, abbia potuto restare in silenzio senza reagire nello stesso modo ad un atto ostile dichiarato dall’Unione Europea? Forse la Commissione ed i governi europei, abituati a prendere schiaffi in faccia da tutto il mondo (la questione dei Marò e l’invasione africana mascherata da immigrazione ne sono un esempio) senza reagire, pensavano che anche la Russia facesse lo stesso: evidentemente, a Bruxelles non mancano solo analisti politici ed economici, ma anche psicologi!
Ma la questione, a nostro parere, va più in là e bisogna risalire alla radice dei fatti.
Innanzitutto: quale governo, quale parlamento nazionale ed europeo hanno mai discusso la questione ucraina a cominciare dal desiderio di una parte (non tutta!) di quel Paese di aderire all’Unione Europea? Ammesso e non concesso che questo fosse stato auspicabile, qualcuno ha mai indicato quali costi aggiuntivi sarebbero gravati sull’Unione Europea accettando un Paese con un’economia debolissima, con centinaia di migliaia di aspiranti immigranti negli altri Paesi europei (con i problemi che avrebbero causato simili a quelli derivanti dall’adesione della Romania, ad esempio) e con una concorrenza perniciosa per l’agricoltura degli altri Paesi europei che avrebbe messo in crisi la “politica agricola comune”? E questo, senza contare i riflessi sui rapporti internazionali – poi regolarmente verificatisi – con la confinante Russia che ha in Ucraina milioni di propri connazionali.
E veniamo alle sanzioni. Dopo l’annessione della Crimea, liberamente e totalmente votata dalla locale popolazione, qualcuno in Europa – ma soprattutto fuori d’Europa – ha deciso che bisognava mettere le “sanzioni”.
Ora, questa definizione è stata piuttosto inflazionata e privata del suo vero significato da parte della stampa radiotelevisiva e dei commentatori. Ma, in realtà, le “sanzioni” – a prescindere dalla sua area applicativa, solo per le forniture militari od anche per i rapporti economici – sono un vero e proprio atto ostile nei confronti di un altro Paese che si prende per risposta ad altri analoghi atti contrari od a tutela dei propri interessi.
Ebbene, una questione dell’importanza di questo genere, che potrebbe avere ripercussioni negative sia sullo stesso piano sanzionatorio (com’è avvenuto con il divieto di acquisto dei prodotti agroalimentari europei) sia addirittura con atti di guerra, dovrebbe essere discussa e decisa non nel chiuso delle riunioni a porte chiuse del Consiglio degli Stati Membri e della Commissione, organi esecutivi, bensì dalle assemblee elettive e rappresentative sia dei singoli Paesi che dell’Unione, ossia il Parlamento Europeo.
Non solo questo non c’è stato, ma non c’è stato neanche un dibattito, un’informativa, una delibera da parte, per quanto riguarda l’Italia, del consiglio dei ministri! Un’analisi dei documenti politici ci dimostra che le sanzioni furono disposte dalla riunione del Gruppo dei Sette Paesi (G-7) e neanche dal più importante Gruppo dei Venti Paesi più sviluppati del mondo (G-20) a L’Aja il 24 marzo 2014 (dove era presente anche l’Italia con Renzi e Mogherini) dopo il referendum sull’annessione della Crimea e le prime agitazioni nelle regioni orientali ucraine abitate da russi.
Dopo di che, un cittadino di una Repubblica “democratica” in cui la sovranità “appartiene al popolo” si sarebbe aspettato che della questione si occupasse, anche per gli effetti giuridici e pratici, prima il consiglio dei ministri e poi il parlamento. Invece, nulla: il consiglio dei ministri – secondo i verbali – non ha MAI discusso neanche una relazione ufficiale del presidente del consiglio o del ministro degli esteri, e lo stesso dicasi per il parlamento. L’unica volta che il parlamento si è occupato in qualche misura di questa questione è stato il 30 aprile (un mese dopo!) quando il ministro degli esteri ha svolto un’audizione alla commissione esteri su altri aspetti della politica estera e, in coda, “sulla questione ucraina”. La parola “sanzioni” non è stata neanche indicata nell’ordine del giorno.
E questo vale anche per le successive conferme ed aggravamenti delle sanzioni alla Russia.
E’ lecito tutto ciò? E’ lecito che un atto ostile contro un Paese estero, Paese con cui peraltro abbiamo in corso, e non da ieri, importantissimi rapporti economici che non sono solo quelli energetici anche se questi sono fondamentali, sia adottato in una semplice riunione senza alcuna veste giuridica, qual è il “G-7” che non è l’ONU, non è il Consiglio di Sicurezza, non è l’OCSE, senza che perlomeno sia ampiamente relazionato, discusso e votato dalle assemblee rappresentative del voto popolare?
Non parliamo poi del Parlamento Europeo, in quel periodo chiuso in attesa delle elezioni di rinnovo.
Non siamo certamente esperti di diritto internazionale, ma a prima vista ci sembra – anche perché mai i mezzi di comunicazione hanno riferito su provvedimenti ufficiali del governo votati dal parlamento – che le sanzioni siano del tutto illegittime dal punto di vista giuridico, e penalizzanti per la nostra economia.
Qualcuno risponderà di tutto ciò? Qualcuno risarcirà gli agricoltori, gli industriali ed i commercianti che operano con la Russia dei danni subiti? Chi lo farà, l’Ucraina o gli Usa che vogliono questo nuovo tipo di “guerra fredda”?
E’ una questione che merita la massima attenzione, anche per possibili sviluppi futuri.