In questi ultimi giorni stiamo assistendo a un’inquietante crescendo rossiniano di atti gravi di bullismo scolastico. Non descriverò i fatti in questione, poiché sono già ben noti, in quanto, giornali, TV e web ne hanno parlato ampiamente, mostrando anche i video che sono diventati, come si dice, virali. Intendo invece tentare un’analisi per cercare di comprenderne le origini politiche-culturali e proporre una soluzione.
Intendiamoci, il bullismo è sempre esistito, anche quando c’èrano sistemi educativi severi, ma mai avevamo assistito a una degenerazione come quella odierna. Perché gli atti di bullismo, non sono più diretti unicamente ad altri allievi, compagni di classe, bensì anche e soprattutto agli insegnanti, il che ovviamente è ancora più grave. Siamo di fronte a adolescenti viziati che si permettono comportamenti inaccettabili nei confronti dei loro insegnati, con minacce, intimidazioni, e manifestazioni di onnipotenza dovute alla consapevolezza d’essere impuniti.
Ad aggravare il tutto, la nuova mania moderna soprattutto tra i giovani, ovvero, quello di filmare gli episodi con gli onnipresenti smartphone (questi aggeggi dai quali gli adolescenti non si separano mai), mettendo tutto in rete, per vantarsi delle loro bravate e irridere ulteriormente il docente in questione. Di fronte a simili spettacoli inverecondi, non possiamo non chiederci a dove è arrivata la nostra cosiddetta “civiltà occidentale”. Fino a dove ci dovremo spingere in quest’avanzato processo di decadenza? Se non abbiamo ancora toccato il fondo, cos’altro ci aspetta il futuro? Quando ci decideremo a reagire e a invertire il senso di marcia?
Forse, prima di arrogarci il presuntuoso compito di civilizzare i paesi “non occidentali”, esportando la nostra democrazia, dovremmo avere l’umiltà di guardarci dentro con sano senso autocritico. E la cosa singolare è vedere politici, giornalisti e opinionisti che ovunque, soprattutto in TV, si chiedono sorpresi ed esterrefatti le ragioni di questi episodi, e quali potrebbero esserne le soluzioni. Quali mai potevano essere le conseguenze finali di quella “lebbra” che fu il Sessantotto? Non fu forse la contestazione studentesca e la rivoluzione culturale sostenuta ideologicamente dal fronte progressista e soprattutto dal Partito comunista, che si mosse in rivoluzione contro ogni forma di tradizione e autorità, da quella scolastica fino a quelle della famiglia e dello Stato? Non furono i sessantottini a inverare l’idea del “vietato vietare”? E quali potevano essere quindi le nefaste conseguenze?
Intendiamoci, nessuno nega che la società pre-68 fosse eccessivamente repressiva. Ma un conto è contestare un sistema repressivo e altra cosa è negare la necessità di un senso di autorità in un contesto democratico. La generazione che ha combattuto nel Sessantotto e che era schierato con il fronte libertario-antiproibizionista, ha rotto i ponti con la tradizione e ha avvelenato i pozzi dell’educazione, crescendo con idee che poi hanno trasmesso ai loro figli. I bulli d’oggi sono i frutti maturi (marci), del Sessantotto. E quella deriva prosegue tuttora, poiché il Centrosinistra che ha ammainato la bandiera della lotta di classe social – comunista, non ha smesso di assolutamente di portare avanti le loro idee libertarie, in una società in cui è già tutto concesso e dove gli individui, soprattutto se adolescenti, hanno solo diritti e nessun dovere e danno ogni cosa per scontata. Ad alimentare questa cultura nihilista, il trionfo del liberismo globalista e della società materialista dei consumi, che ha sviluppato un individualismo cinico e aggressivo che ha effetti nefasti soprattutto nei più giovani, sempre più viziati. La cultura libertaria sessantottarda di sinistra, si è saldata all’economismo liberista di destra e ha prodotto la crisi attuale.
Infine il terzo fattore, ovvero, il dominio della tecnologia e della modernità, l’alienazione, prodotta dai mezzi di comunicazione, in primis, il web e gli smartphone, che sono diventati i nuovi giocattoli attraverso i quali i giovani si estraniano, fuggono dalla realtà e che usano per diffondere le loro forme di narcisismo autodistruttivo. Per correggere la rotta, bisogna ricominciare dalla formazione, a scuola e in famiglia, recuperando il senso di autorità in tutte le sue declinazioni, ripartire da quei valori di Dio, Patria e famiglia che sono stati diffamati dalla retorica della cultura progressista. Lo Stato deve tornare a essere forte e autorevole, la scuola deve dare la precedenza all’educazione, attraverso anche forme severe e punizioni esemplari; i genitori, veri educatori.
Questo dovrebbe essere il compito di una politica e una cultura “conservatrice di destra”, ma perché questo possa essere plausibile, occorre che la destra sappia essere “critica” nei confronti del capitalismo globale, trovi il coraggio di rivedere l’Occidente e il suo modello economico e di sviluppo, ritrovando la sua radice “sociale”. Se la destra non trova una sua “terza via”, tra capitalismo e comunismo, tra individualismo e collettivismo, se non saprà denunciare con forza e inclemenza la decadenza nihilista dell’Occidente ponendosi come obiettivo quello di “ripensarlo” come “comunità d’individui”, e ridando un ruolo protagonista allo Stato come “entità etica”, se la destra non riparte da quest’ambizioso progetto, fallirà il suo compito. Non ci sono altre vie, da qui dobbiamo ripartire.
Purtroppo anche chi vota a destra e si definisce di “destra” (sia esponenti politici che elettori), sono imbevuti dalla subcultura sessantottarda, quindi non è facile avviare una controrivoluzione in tal senso.