L’editoriale di Ernesto Galli della Loggia (L’epidemia e la politica. In futuro avremo bisogno di aria nuova. E forse si apriranno prospettive inaspettate. Il presidente del Consiglio e il ruolo che verrà) appare, a voler essere misurati ed attenti, un autentico inutile ed immeritato panegirico nella ricostruzione dei meriti e soprattutto nell’augurio allusivo ma esplicito finale.

Si individuano una crescita “in una misura inimmaginabile” delle “quotazioni e della statura politica del presidente” destinato ad un roseo (per lui) futuro. Non è affatto difficile giudicare la situazione e considerare al di là dell’enfasi encomiastica e adulatoria usata dall’ex cattedratico, che il “Conte Tacchia della Capitanata” non ha che seguito le norme quasi istintive dettate dall’ultimo “caporale di giornata” (senza offesa per i graduati). Ha attuato le norme pesanti, gravi e perentorie richieste dalle circostanze senza escogitare neppure per assurdo provvedimenti straordinari innovativi. Si tratta di misure – a voler essere addirittura banali – elementari, primarie, davvero non acute o ostiche.
Invece di presentarlo come Pirgolinice , il c.d. “miles gloriosus” di Plauto, lo si fa passare come “salvatore della patria”, dimenticando e nascondendo sotto la cenere famosa delibera del 31 gennaio scorso del Consiglio dei Ministri, pubblicata sulla “Gazzetta Ufficiale” del 1 febbraio successivo. Se lo “stato di emergenza” , in conseguenza del rischio sanitario, non fosse stato semplicisticamente “dichiarato” ma applicato, il quadro non sarebbe diventato così sconvolgente per le vite di migliaia di italiani, per la società e l’economia nazionali.
Non mancavano davvero i segni: nella dichiarazione si citava, a campione, “la dichiarazione di emergenza internazionale di salute pubblica per il coronavirus dell’Organizzazione mondiale della sanità del 30 gennaio 2020” e si sottolineavano “le raccomandazioni alla comunità internazionale circa la necessità di applicare misure adeguate”.
Poi verrà – speriamo quanto prima – il tempo dei bilanci e dovranno, per forza di cose e sacrosanto dovere civico – essere individuate le responsabilità dirette e omissive. L’altra sera il presidente della Regione Piemontese, colpito dal virus, accennava ai tanti contatti avuti dagli imprenditori, suoi conterranei, impegnati con la Cina. Lo stesso Panebianco, altro editorialista del foglio di Cairo, con parole felpate, diplomatiche quanto altre mai, ha riconosciuto che “certe regioni del Nord sono state più colpite”. [Esse] “le più economicamente sviluppate, avevano, prima dello scoppio della pandemia, i legami esterni (anche con la Cina) più intensi rispetto a tutte le altre”.
In una terra, come l’Italia, da molti decenni non più Stato e non più nazione, in cui la sensibilità democratica è unidirezionale, sarà indispensabile prima o poi giudicare il tasso di democraticità della Cina. Nell’ultimo supplemento settimanale del “Corriere della Sera” si accenna a p. 136, in una nota di “spalla”, al dramma, al massimo sottaciuto, “degli iuguri, i mussulmani che vivono nello Xinjiang, regione autonoma [!!!!] del Nord – Ovest della Cina e al documentario “Gulag : il volto oscuro della Cina”, “un’indagine sui cosiddetti laogai (i campi di lavoro forzati o di rieducazione) e sul sistema di sorveglianza digitale che punta ad un controllo di massa delle persone di religione islamica”.
In questi giorni un amico mi ha “girato” una “profezia”, circolante in rete di un certo Benito Mussolini. Nel 1927 avvertiva: “Attenzione al pericolo giallo. Nei prossimi decenni ci dovremo guardare dall’espansionismo cinese con la loro smisurata prolificità, con i loro prodotti a basso costo e con le epidemie che coltivano al loro interno”. Ma in Italia vale da imperativo assoluto la massima “pecunia non olet”.