L’Egitto, ormai quasi “normalizzato” dal partito militare postnasseriano, cerca di riprendere un ruolo guida nell’incandescente quadro geopolitico medio orientale e nord africano. Con qualche importante variazione rispetto al passato. La tempesta delle cosiddette “primavere arabe” e la brutale caduta di Mubarak — piaccia o meno, ancor oggi il riferimento delle caserme —, hanno scosso la fiducia dei generali cairoti negli Stati Uniti e, soprattutto, in Barack Obama. Da qui il riavvicinamento egiziano all’Arabia Saudita e agli Emirati Uniti, la freddezza con l’infido Qatar — principale finanziatore della deriva terrorista in Siria e in Libia — e i nuovi, importanti contratti militari con la Russia putiniana e la Francia.
Negli scorsi giorni il governo egiziano ha confermato l’acquisto di 24 caccia Rafale e di una fregata di tipo Fremm più altri sofisticati sistemi d’arma. Con consegna immediata. Per Parigi si tratta di un’importante vittoria commerciale e diplomatica sull’industria aerospaziale e militare americana: grazie agli eredi dei faraoni (non geniali ma affidabili) la Dassault è riuscita ad infrangere il monopolio statunitense e a chiudere la prima vendita del suo costoso gioiello — rilanciando così le trattative per i Rafale con gli Emirati e l’India — e l’asfittica cantieristica navale francese (la DCSN) ha ricevuto una boccata d’ossigeno.
Per il Cairo, sempre più coinvolto nel disastro libico e sponsor principale del governo laico di Tobruk, la modernizzazione delle forze armate è un passo obbligato, urgente. Per i gallonati nipotini di Nasser è tempo di armarsi e partire. Contro il califfo di Derna.