Delio Cantimori, tra i più autorevoli storici italiani del secolo scorso, autore di opere note come gli Eretici italiani del Cinquecento, gli Utopisti e riformatori, 1794-1847. Ricerche storiche e le Prospettive di storia ereticale italiana del Cinquecento, è stato fatto oggetto di discredito e diffidenza per lungo tempo da parte della ricerca storiografica. Sulla memoria del Normalista, discepolo di Giuseppe Saitta, nonché abituale interlocutore di intellettuali di primaria grandezza, quali il Croce e il Gentile, gravò tanto l’iniziale adesione al fascismo quanto quella successiva al comunismo.
Lo storico ravennate, nato a Russi nel 1904, attraversò gli anni tempestosi del “secolo breve” elaborando un pensiero, e soprattutto un metodo di ricerca e di indagine, originalissimo e fecondo di contraddizioni. Una prassi di lavoro contraddistinta da una tensione interna tra il particolare e il generale, tra l’originaria vocazione per la speculazione filosofica e la ferrea volontà di ancorarsi saldamente al dato, all’evento storico.
Una lotta tra l’attrazione per l’indagine “lunga”, protesa pericolosamente verso la ricerca delle conseguenze, e la certosina ricostruzione delle cause, da compiersi mediante periodiche immersioni nelle biblioteche del caro Vecchio Continente. È grazie soprattutto ai preziosi e solidi studi compiuti da Adriano Prosperi, da Giovanni Miccoli e da Gennaro Sasso che si è potuto assistere ad una recente rivalutazione e ripresa dell’immenso patrimonio di opere e insegnamenti profuso dal Cantimori. La scarsa sistematicità del pensiero, lo stile talvolta disadorno e arduo da decifrare, le incertezze e le notevoli ambiguità, avevano relegato lo stesso tra gli autori con cui confrontarsi principalmente per sottolinearne i difetti e i limiti. Il “liberale camuffato”, come soleva etichettarlo l’amico e collaboratore Werner Kaegi, affrontò temi spinosi e delicati, come la libertà e la tolleranza religiosa, la questione dell’uso della forza e dell’autorità, i limiti e le peculiarità proprie del mestiere dello storico, giungendo a conclusioni mai banali e tanto meno definitive. Nonostante le sue controverse simpatie politiche, Cantimori diede ai suoi adorati studenti un insegnamento ancora oggi attuale e, persino, urgente, cioè quello dell’onestà intellettuale.

Si rifiutò per tutta la vita di mettere la sua arte e professione a servizio di un movimento o di una fazione politica, respingendo al mittente qualsiasi tentativo di farne un intellettuale di partito, un punto di riferimento dell’intellighenzia o della leadership del momento, custodendo e proteggendo l’indagine storica da deleterie intromissioni e influenze. Fu forse anche per questa sua intransigenza caratteriale che non gli riuscì l’impresa di redigere un manuale di storia universale, rifuggendo schematizzazioni, tematizzazioni generali o approcci eccessivamente definitori, dando alle fiamme, in un momento d’ira, il lavoro di anni, pagina su pagina. Non è casuale che preferisse scrivere monografie, articoli, brevi saggi, recensioni o prefazioni ai testi.
Un uomo che si servì delle ideologie del suo tempo, ne studiò la genesi con occhio critico e scientifico, cogliendone la drammaticità e le ripercussioni sulle singole vicende umane, tanto passate quanto a lui coeve, restando fedele a se stesso e alle sue più intime convinzioni. Pensieri, orientamenti, narrazioni e prospettive ancora oggi da comprendere, e da tradurre, in tutta la loro profondità e complessità.