Uno dei doni più preziosi elargiti benevolmente da Dio all’uomo è indubbiamente quello della parola, del logos, del verbo. L’uomo parla, colloquia, chiacchiera, discute, dialoga, discorre, discetta incessantemente su ogni oggetto dello scibile. Non vi è altra creatura capace di concettualizzare linguisticamente il mondo, strappando la materia bruta all’irrilevanza del pensiero, plasmandola e riportandola alla luce una seconda volta: “per forza di levare”, direbbe il genio michelangiolesco.
Un’attività non certo priva di asperità e fatiche, una disfida con la totalità dell’esistente, ma anche con se stessi. L’inciampo è sempre in agguato, nelle poliedriche forme espressive della volgarità, della menzogna, dell’ingiuria, della diffamazione, della blasfemia e dello stesso silenzio, quando quest’ultimo si rende complice e omertoso.
L’homo loquens è dotato di un potere straordinario, cioè quello di nominare il creato, di definirlo, di narrarlo, di abbellirlo e persino di camuffarlo. L’arte, la scienza, la storia e la religione si abbeverano, da sempre, alla fonte della parola. Esiste, inoltre, uno spreco di tale risorsa imprescindibile al vivere umano, cioè il cianciare, il blaterare, il crogiolarsi beatamente nel dolce dir nulla, nello sproloquio dell’anima bella che ritorna plotinianamente in se stessa, salendo i gradini che portano al pulpito del pensiero unico.
Il politicamente corretto si sposa con l’eticamente corrotto, prendendo a prestito una nota formula di Diego Fusaro. Le parole si svuotano, si confondono, si fanno temerarie e licenziose, incapaci di generare circoli virtuosi, catene di solidarietà, echi eterni di verità. San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, esortava i confratelli all’uso accorto della parola: “Fai attenzione a come pensi e a come parli, perché può trasformarsi nella profezia della tua vita”.
Ai leoni da tastiera, agli odiatori seriali, ai demonizzatori di mestiere, a tutti coloro che rivendicano una superiorità intellettuale e morale, onde potere denigrare il prossimo, consigliamo un uso migliore del proprio tempo: “Volete che si pensi bene di voi? Non ditene”. (Blaise Pascal)
Mi complimento per la lucidità con cui distingue l’uso della parola dall’abuso della lingua.
Ha colto uno degli aspetti centrali dell’articolo.
Grazie per il commento.