Nei Settanta, grazie a Jean Mabire e Hugo Pratt, una coppia di splendidi “irregolari” e perfetti “gentiluomi di fortuna”, incontrai Roman Feodorovich von Ungern-Sternberg. L’ultimo (e più valoroso) condottiero delle armate “bianche” della terribile guerra civile russa.
Leggendo il libro di Mabire — Ungern, le baron fou, tradotto dalle edizioni di Ar nel 2009 — e, poi, scorrendo le tavole di Corte Sconta detta Arcana disegnate dal Maestro veneziano, compresi che Ungern non era un semplice comandante “controrivoluzionario” o un politicante reazionario o borghese. Ungern era altro, ben altro. Quando tutto crollò e i “bianchi” sconfitti affollavano le banchine di Crimea per fuggire dal terrore “rosso”, questo erede dei cavalieri teutonici scatenò dalla taigà e dalle steppe una micidiale e disperata offensiva contro i bolscevichi. Tante battaglie ma anche un progetto stravagante quanto fascinoso.
L’aristocratico baltico immaginò un nuovo impero euroasiatico, un blocco di popoli e tradizioni da saldare dal Pacifico al Baltico. Una lucida “follia” geopolitica e un frullato di ortodossia, buddismo, lamaismo, animismo. Nella sua impossibile impresa migliaia di uomini, di guerrieri — la divisione di Cavalleria Asiatica — lo seguirono una lunga, epica, tragica cavalcata tra la Siberia e la Mongolia. Come è noto, tutto finì il 15 settembre 1921 con un tradimento e una fucilazione. Ma, Mabire lo ricorda nella prefazione all’edizione italiana, «Ungern è molto più di Ungern». Ungern rimane uno “scandalo”, una provocazione.
Ben vengano allora le “nuvole parlanti” di Ferrogallico, il fumetto sceneggiato e disegnato da Crisse, in un’edizione speciale con prologo ed epilogo firmati da Carlomanno Adinolfi. Il “dio della guerra” cavalca ancora. Anche tra le tavole di carta e i tratti di china.
Crisse – C. Adinolfi
Ungher Khan, il Dio della guerra
Ferrogallico, Milano 2017
ppgg. 1oo, euro 18,00