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Home L'Editoriale

Lettera di un medico dal fronte

di Eugenio Pasquinucci
9 Marzo 2020
in L'Editoriale
0

Carissimi, sono qui al fronte, davanti ad un nemico invisibile, lasciato solo dalle istituzioni; nessun numero verde di collegamento, istruzioni generiche catturate qua e là su internet. Nemmeno una mascherina mi hanno portato, ho dovuto provvedere da me; con una di quelle che si usano in chirurgia, a ricordo dei tempi passati, non è neanche la più adatta. La situazione, fatte le debite proporzioni, mi ricorda quella dei nostri soldati durante la ritirata di Russia, con gli scarponi rinforzati dal cartone. “Armiamoci e partite” in una riedizione da guerra batteriologica.

Forse provvederà il sindacato, inviandoci le mascherine giuste, di propria iniziativa. La situazione sta degenerando, il  coronavirus sta dilagando. In ogni ambulatorio diventa impossibile distinguere una forma influenzale da una da Covid-19, essendo i sintomi sovrapponibili; l’elemento discriminante per istituire una terapia è la gravità dei disturbi clinici, non la causa della malattia.  Chi chiama il 1500 viene spesso rimbalzato al medico di famiglia, numero che a sua volta il dottore stesso aveva consigliato  di interpellare.

Alcuni ospedali, come il San Paolo di Milano, si stanno attrezzando, istituendo  ben tre nuovi reparti; ma lo vengo a sapere da un infermiere mio conoscente. Trenta intubati a Niguarda, terapie intensive al limite del collasso, unità coronariche in procinto di chiudere, situazioni drammatiche.

Un medico non sa più se ha avuto contatti con pazienti affetti da influenza o da coronavirus . Deve autodenunciarsi? Con quali prove se ormai il tampone viene riservato a casi veramente sospetti? Non vale più la semplice anamnesi che riservava a chi aveva avuto contatti con pazienti provenienti dalla Cina una maggiore attenzione.

Ma vale la pena istituire tutte queste misure igienico-sanitarie? In Germania il picco di influenza registra numeri decisamente preoccupanti e sospetti, mentre gli affetti da coronavirus sarebbero ancora stranamente pochi, nonostante uno dei primi casi si sia verificato proprio sul territorio tedesco e la popolazione sia la più numerosa d’Europa e considerando anche i rapporti economici con la Cina molto stretti.  Qualcuno sta barando, gettando la croce di paese untore sull’Italia ? L’Europa tanto unita sui criteri per classificare  zucchine e vongole, dov’è ora ?

Noi che eravamo il paese che risolveva i problemi a modo proprio, ora siamo i secchioni europei, lasciati soli. Quando comandava Andreotti i problemi non si affrontavano, si lasciavano incancrenire, cosi’ si risolvevano da soli, alla democristiana. Abbiamo superato le preoccupazioni del dopo Chernobyl, con grande fantasia: moltissimi comuni italiani, amministrati da quei poveracci della sinistra, si dichiaravano “ Comune denuclearizzato”, quasi che una nube radioattiva, vedendo il cartello, decidesse di cambiare direzione.  Oggi la disposizione anti-epidemia di chiudere i bar dopo le 18 ricorda quei cartelli: come se il coronavirus fino alle 17.59 si facesse i fatti suoi e timbrasse il cartellino solo alle 18. Purtroppo il Covid-19 sembra sia uno stakanovista.

Abbiamo ancora le “domeniche a piedi”, divertenti quanto volete, ma assolutamente inefficaci nella lotta all’inquinamento; elemento di folclore quanto le raccomandazioni a lavarsi le mani “per venti secondi“; perché se sono 19 cosa succede, si è preda dell’infezione ? Nessuno a spiegare che è molto importante tenere le unghie corte e usare lo spazzolino, e pulire bene gli spazi interdigitali. E pregare.

Due settimane fa sono andato a domicilio a visitare una paziente ultranovantenne con una riacutizzazione di una bronchite cronica; istituisco una terapia ma raccomando la figlia di telefonarmi o di chiamare l’ambulanza, qualora la situazione peggiorasse: rilascio anche una richiesta di ricovero con una descrizione del caso. La figlia dopo due giorni in cui c’era stato un soddisfacente recupero della madre, nota un peggioramento e come concordato chiama l’ambulanza; i lettighieri arrivano, controllano alcuni parametri vitali e decidono che il problema era solo della mascherina dell’ossigeno non ben posizionata. Sconsigliano il ricovero perché in ospedale si rischia di prendere quel “brutto virus” e contravvenendo alle mie raccomandazioni se ne vanno. La notte stessa la paziente muore. Deceduta ma non contaminata dal virus.

In effetti dovremo assistere a nuove situazioni di rischio dovute all’epidemia ed alle restrizioni che il suo contenimento induce. Quanti cardiopatici, diabetici, oncologici, bronchitici cronici si troveranno gli accessi rallentati per la situazione straordinaria che si è creata?

Quante persone moriranno per suicidio, come ai tempi del famigerato governo Monti, per il fallimento o la crisi della propria azienda o attività? Quanti casi di depressione maggiore con crisi di panico indotti da un’informazione pressante si verificheranno ? Alcune le sto già trattando tra i miei pazienti. Quanti alla fine saranno i morti per coronavirus e quanti per le misure per contenerlo? 

Tags: coronavirusMilanosalute
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