Il graduale, ma sempre troppo lento ed esitante, ritorno alla normalità post COVID ci ha finalmente restituto anche la commemorazione in memoria di Sergio Ramelli. L’ultima volta, nel 2019, grazie alla dabbenaggine ed all’ignavia dell’allora Ministro degli Interni Matteo Salvini, era finita a manganellate con la Celere che menava a caso la testa del corteo mentre i centri sociali sfilavano autorizzati ed indisturbati inneggiando alle chiavi inglesi.
Stavolta il buonsenso ha prevalso e la questura ha autorizzato il corteo sia pure a condizione di ridurre il percorso, partenza da Piazza Gorini anzichè da Piazzale Susa, di non “marciare inquadrati o militarmente” (mai successo) e di non esibire “simboli e vessilli di tipo fascista” (mai successo nemmeno questo, l’unico simbolo che si è sempre visto il 29 aprile è il Tricolore).
Fatto sta che il corteo, atteso da due anni, ha potuto svolgersi tranquillamente e pacificamente rendendo del tutto superfluo l’abnorme ed esagerato apparato poliziesco predisposto dalle autorità. Anzi, il nuovo percorso ha assunto un ulteriore significato simbolico evidentemente ignoto alla Questura, visto che proprio da Piazza Gorini il 3 maggio 1975 era partito il non funerale di Sergio, vietato dal questore di allora e impedito in modo grottesco dalla Polizia mentre dalle finestre dell’Istituto di Medicina Legale i gentiluomini di Avanguardia Operaia fotografavano indisturbati i presenti in cerca di nuovi bersagli (le fotografie di quel giorno saranno trovate dopo diversi anni in un covo di terroristi abbandonato).
Le solite cronachelle dei giornali manifestano meraviglia per il corteo “senza incidenti” (ma è sempre stato così tranne che nel 2019) e tendono a minimizzare, chi parlando di “poche centinaia”, chi di “meno di un migliaio” di presenti, anche se in realtà la partecipazione è stata rilevante, come d’altra parte dimostrato da immagini (neutrali) disponibili in rete che documentano l’intera cerimonia: basti pensare che mentre la testa del corteo arrivava in via Paladini la coda non aveva ancora imboccato Via Aselli, vale a dire almeno 500/600 metri di fila in righe abbastanza compatte, oltre a chi seguiva senza essere inquadrato e a quelli che erano già sul posto.
Copione rispettato anche per il consueto e squallido teatrino di contorno: L’ANPI che sbraita propinando le solite farneticazioni antistoriche e anti giuridiche, il prode Paolo Berizzi indaffaratissimo a riempire il pentolone di Repubblica con i suoi pastoni indigeribili a base di denigrazione, il sedicente Osservatorio democratico sulle nuove destre (in realtà solo un sito web di un vecchio caporione di Avanguardia Operaia) che raccatta un po’ di visibilità per la sua insignificante pseudo-attività, lo sparuto gruppetto di tipi da centro sociale che tenta di mettere in piedi una patetica e semi deserta contromanifestazione.
A proposito di teatrino non poteva mancare la cosiddetta “commemorazione ufficiale”, quella nella quale al Giardino Sergio Ramelli arriva bel bello il signor Sala Giuseppe, che evidentemente non è il sindaco perchè altrimenti indosserebbe la fascia tricolore, a pronunciare qualche scontata e banale parola di circostanza ossequiato e riverito dai destristi cittadini, sempre felici dell’elemosina graziosamente elargita del primo cittadino in incognito, sempre subalterni e sempre incuranti dell’ipocrisia sottostante, della palese discriminazione tra morti e dell’offesa alla memoria che in realtà quel comportamento rappresenta.
Quest’anno alla rappresentazione hanno addirittura partecipato i vertici nazionali di FdI al gran completo (con quelli locali, oramai colonizzati dagli ex di Forza Italia, che di Sergio Ramelli non sanno niente) con Giorgia Meloni in prima fila accando al non sindaco anche lei incurante del contesto e della storia, che in fondo visti da Roma e alla luce dei grandi obiettivi del futuro sono solo dettagli trascurabili e sacrificabili. “Questa con Sala è la nostra manifestazione” si è affrettata a precisare la leader di FdI, che a scanso di equivoci e mettendo le mani avanti (non si sa mai), ha poi aggiunto: “la manifestazione di questa sera? Noi non ci andremo, non abbiamo dato assolutamente indicazioni di partecipare”.
Rincara poi la dose, sostituendo per una volta la solita melassa appiccicosa con una inedita faccia feroce, l’immancabile Crosetto che tuona: “Ci vado io da salutatori romani e compagnia bella: certa gentaglia che ha cercato di avvicinarsi a FdI, sperando di trovare un posto per fare i nostalgici del braccio alzato, non è mai stata tollerata da nessuno, in primis da Giorgia”.
Chissà se nella foga di sembrare e far sembrare tutti politicamente corretti e perfettamente allineati il Guidone si è reso conto di essere la persona meno indicata a decidere chi sia degno e chi no di militare in un partito che esibisce ancora, sia pure solo come un brand commerciale, la Fiamma Tricolore.
Alle fine, comunque, nonostante l’anatema del vecchio democristiano “antifascista, cattolico democratico, liberista e libertario convinto” (così lo descrive il Corriere della Sera) alla fine di fratellini sparsi qua e là in via Paladini ce n’erano, gli unici ad essere molto meno numerosi degli altri anni.
Quando al consiglio comunale di Milano venne data la notizia della morte di Sergio ci fu un corale e partecipato applauso di giubilo. Una storica ed inqualificabile infamia. Non sono mai state presentate scuse, mai una parola di stigmatizzazione e di condanna di quell’ inqualificabile e vergognoso gesto.
Sino a quel momento (che temo nn arriverà mai) la fascia tricolore se la possono anche tenere.