Solo perché “offerto in omaggio” agli acquirenti del “Corriere della Sera”, in occasione del 70° anniversario della storica vittoria elettorale, rimasta proverbiale , ho letto la fatica di Indro Montanelli e Mario Cervi, velleitariamente etichettata come “Storia d’Italia. L’Italia della Repubblica . 2 giugno 1946 – 18 aprile 1948”, e non, con una valutazione realistica, “Cronaca”.
Superficiale e scontata è la premessa, scritta nel 2011, dall’onnipresente Sergio Romano, con l’uso o meglio l’abuso (3 volte in una pagina) del termine, poco impegnativo e sfuggente, “buon senso”.
E’ del tutto insoddisfacente anche l’introduzione, legata all’attualità, del direttore del quotidiano. Bastino due accenni: per Fontana il risultato del 4 marzo scorso è uscito “a sorpresa dalle urne” e la sconfitta, pesante ed inequivocabile di un metodo e di un uomo, sancita il 4 dicembre 2016, non è altro che una “scommessa” perduta.
E’ vero ma si è ben lontani dall’ammetterlo e dal riconoscerlo che la situazione, in cui vive oggi l’Italia, è frutto dell’errore commesso da PD, FI e Lega con il varo del “Rosatellum”, privo di un decoroso premio di maggioranza, tale da annientare i grillini spocchiosamente isolati.
Il volume è articolato su 10 capitoli (Il Re di maggio, Il 2 Giugno, I primi passi, Guai ai vinti, La svolta, La linea Einaudi, La guerra di Troilo, La Costituzione, La vigilia, La valanga) ed un poscritto, in cui vengono esagerati i limiti umani di De Gasperi, del quale si denunzia, però, l’esagerato rigore nei riguardi di Guareschi “decisivo” per la vittoria del 18 aprile e totalmente sconosciuto all’evanescente destra odierna.
Il livore e l’acrimonia antifascista portano a sottovalutare se non addirittura a trascurare e ad ignorare gli obiettivi reali e la politica di fondo del PCI, della lotta di classe e dello stalinismo, vivo e vegeto, teso all’instaurazione della “democrazia popolare”.
Solo accettabili risultano gli autori nelle occasioni, in cui interpretano la caduta della Monarchia come la negazione del Risorgimento, senza rilevare le intenzioni caratterizzanti, emblematiche, dei 2 maggiori partiti antinazionali.
Del tutto improponibile è il parallelo istituito tra la lotta di classe deflagrata “con una violenza proporzionale alla repressione con cui per vent’anni l’aveva sottoposta il fascismo”, come scrive l’immemore toscano.
Così come futile, cronachistica, scandalistica e addirittura pruriginosa si mostra l’analisi del fenomeno migratorio postbellico, “che subito prese l’aìre dal Sud verso il Nord e assunse dimensioni alluvionali. Le strutture patriarcali del contadiname meridionale non avevano retto al rimescolio della guerra, al contagio degli eserciti d’occupazione, alle seduzioni della borsa nera e della prostituzione”.
Montanelli e Cervi sostengono esserci, in chiusura del triennio, alla vigilia del turno elettorale, appunto del 18 aprile, noia e fastidio ma non forniscono spiegazioni e non motivano in maniera convinta e principalmente convincente, il successo della DC e l’affluenza ai seggi (92,23%).
Perché oggi non si registrano più momenti del genere con i cittadini, sempre in percentuali crescenti, lontani, delusi, totalmente critici?