Qualche giorno fa la pittoresca ministra renziana Teresa Bellanova ha invitato il senatore Alberto Bagnai, reo di avere introdotto in un suo intervento al senato uno scomodo ma alquanto pertinente riferimento all’egemonia tedesca sul continente europeo, a “rileggere i libri di storia”. Tralasciando il paradosso di una persona che avendo “conseguito la licenza media” (come recita il suo CV alla voce istruzione e formazione) invita allo studio un professore universitario, viene da chiedersi di quale storia parlino la Bellanova e tutta la congrega della sinistra illuminata.
Come sappiamo, infatti, il rapporto tra la Storia (maiuscolo) e la sinistra non è mai stato molto sereno. Manipolazione dei fatti storici, uso strumentale della storia a fini ideologici, narrazioni fantasiose, agiografie improbabili hanno da sempre caratterizzato l’uso politico della storia da parte della sinistra. Oggi, però, precipitato a livelli infimi il livello intellettuale e culturale dei suoi esponenti, la manipolazione si è tramutata in farsa. Ultimo esempio la comica polemica sull’Inno a Roma scatenata nel giorno di Capodanno da Repubblica.
“Capodanno, gli auguri di Fratelli d’Italia Brescia con l’Inno fascista” è il titolo con il quale – riprendendo un tweet di uno dei suoi tromboni più illustri, l’ex direttore Ezio Mauro – un articoletto stigmatizzava la scelta di FDI Brescia di usare l’Inno a Roma per fare gli auguri ai suoi militanti. Aggiungendo, e raggiungendo così la farsa, che si tratta dello “stesso brano scelto da Mussolini come inno del Movimento Sociale italiano”.
Che alla base dell’isteria antifascista che caratterizza oggigiorno la sinistra ci sia, tra le altre cose, una volgare e grossolana ignoranza della storia, se non una forma di vero e proprio analfabetismo della materia, è noto. Quello che colpisce stavolta è la sua macroscopica dimensione: è assolutamente ridicolo leggere sul secondo più importante quotidiano del paese che Benito Mussolini, morto nel 1945, ha fondato nel 1946 il MSI scegliendone addirittura personalmente “l’inno ufficiale”, in realtà composto nel 1919 (prima che il suddetto fondasse i fasci di combattimento) niente meno che da Giacomo Puccini su testo di Fausto Salvatori, ispirato al Carmen Saeculare di Orazio, su commissione dell’allora sindaco di Roma Prospero Colonna.
Brano molto eseguito durante il bieco ventennio, poi ripreso negli anni ’70 dal MSI per introdurre i comizi di Giorgio Almirante e da qui, forse, la storiella dell’inno ufficiale ed il conseguente anatema. (Per la cronaca l’inno ufficiale del MSI era il Canto degli Italiani, con testo dello stesso Almirante il cui verso iniziale recita significativamente: “Siamo nati in un cupo tramonto/di rinuncia, vergogna, dolore,/siamo nati in un atto d’amore/riscattando l’altrui disonor”).
Non è certo la prima volta che l’ignoranza, il ciarpame sottoculturale e l’isteria antifascista che infestano la redazione di Repubblica giocano un brutto scherzo. Qualche tempo fa con un altro titolo ridicolo e maldestro, anch’esso poi corretto in fretta e furia, il giornalone politicamente corretto aveva confuso il padre della Patria Giuseppe Mazzini con Benito Mussolini, trasformando il “Dio Patria e Famiglia” dell’opera mazziniana “I Doveri dell’Uomo” (pubblicato ben 23 anni prima della nascita di Benito Mussolini) in un immaginario “slogan fascista”, dando il via ad una cagnara di comparse politiche di quarta fila e giullari da talk show che facevano a gara a chi la sparava più grossa, dal surreale “Quello slogan era ed è fascista. Quello slogan era ed è totalitarista. Quello slogan faceva e fa schifo. Conoscere la storia prima di indignarsi non sarebbe male” di uno sconosciuto burocrate del PD evidentemente affine alla Bellanova, al “che schifo citare il fascismo” della macchietta Alan Friedman.
Eppure, per quanto strano possa sembrare, l’ignoranza faziosa dei sinistri intellettuali non è la cosa più ridicola e penosa che si sia vista nella circostanza. A dimostrazione dell’inadeguatezza e dei macroscopici limiti dei quadri del partito, il boss bresciano di FDI, senatore Gianpietro Maffoni, si è affrettato a prendere le distanze dall’iniziativa dei suoi militanti anziché difenderli pur non mancando argomentazioni adeguate, come abbiamo visto.
Evidentemente impreparato, poco documentato, succube del politicamente corretto e culturalmente inadeguato, il fratellino-senatore ha preferito inchinarsi agli strafalcioni di Repubblica e ripiegare, squallidamente, su una misera presa di distanza burocratico-formale: “E’ un’iniziativa personale di un singolo dal quale prendo le distanze anche per motivi di privacy e di autorizzazione per l’utilizzo del simbolo del partito”. Aggiungendo (come se non bastasse): “Non c’è stata alcuna autorizzazione concessa per la realizzazione del video. In merito al brano utilizzato come colonna sonora ricordo che non è altro che un’opera di Puccini usata da Bocelli e Domingo. Tuttavia ogni iniziativa ufficiale di Fratelli d’Italia, sia locale che nazionale, è sempre e solo accompagnata dall’Inno di Mameli”.
Sarebbe interessante capire dove pensava di andare a parare con un atteggiamento del genere, a metà tra Pilato e don Abbondio, il simpatico senatore meloniano e dove si può andare a finire politicamente con soggetti del genere. Di certo l’obiettivo di dimostrarsi subalterno e compatibile con la correttezza politica imperante lo ha raggiunto.
E’ già qualcosa.
La tristezza maggiore mi è venuta proprio leggendo della presa di distanza del senatore di FdI. Che ignorante. C’è solo un modo per rinfrancarsi un pò lo spirito, ascoltare lo splendido Inno a Roma nella interpretazione di Bocelli:
https://www.youtube.com/watch?v=jVxFmPoKIgE