Un ospite sgradito o, quantomeno, ingombrante. L’arrivo a Washington del premier israeliano Benjamin Netanyahu — invitato dal leader dei Repubblicani John Boehner ma non dall’amministrazione — poco, pochissimo entusiasma la Casa Bianca. Perchè? Domani, davanti alle camere riunite, il “falco” israeliano terrà un discorso che si annuncia di rottura piena con l’amministrazione Obama. In ballo la trattativa sul programma nucleare iraniano che, secondo gli ultimi accordi tra Washington e Teheran, dovrebbe chiudersi entro la fine di giugno. L’obiettivo di Netanyahu, in piena campagna elettorale, è triplice: aumentare consensi in patria, bloccare il negoziato e mettere in difficoltà il detestato Barack Obama.
Ovviamente il presidente non gradisce la provocazione. Non a caso, il premier israeliano non sarà ricevuto alla Casa Bianca e nessun membro del governo assisterà al suo speech. L’unico commento è quello di Susan Rice, consigliere per la sicurezza nazionale, che ha definito semplicemente “distruttiva” la visita di Netanyahu. Uno schiaffo pesante e del tutto inusuale nei rapporti bilaterali tra Stati Uniti e stato ebraico.
Intanto anche in Israele cresce la protesta contro lo spregiudicato premier. L’ultimo colpetto alla credibilità di Netanyahu arriva dalla presa di posizione di 170 ex ufficiali dell’intelligence — l’elite delle forze armate che raramente interviene pubblicamente nella vita politica — che ritengono l’azzardo del premier una mossa che indebolisce Israele e rafforza per contro l’Iran.
L’accordo, tanto contestato dal governo di Gerusalemme, prevede che l’Iran intervenga sul processo di sviluppo nucleare in modo da rendere irrealizzabile una bomba atomica — obiettivo sempre smentito da Teheran —. Sullo sfondo di tanta agitazione resta il caso Spycables, gli scottanti documenti con cui il Mossad — una struttura temibile quanto efficace — smentisce clamorosamente il premier sul dossier iraniano.