La Repubblica italiana è come il ponte Morandi di Genova: strutturalmente instabile. Inadeguato il progetto, carente la manutenzione, incerta la tenuta. Fino agli anni Sessanta del secolo scorso, la classe dirigente nel suo complesso, politici, burocrati, intellettuali, imprenditori, educata e formata, consapevolmente o meno, secondo valori, studi, metodi e costumi preesistenti alla seconda guerra mondiale, ha governato con competenza, onestà e onore, provvedendo alla ricostruzione e alla modernizzazione del Paese. Nonostante la predicazione antinazionale e sovversiva dei partiti antifascisti, in primis quelli di sinistra.
Dal 1960 in poi, segnatamente dal 1968, anno della contestazione in chiave marxista del sistema, hanno occupato la ribalta del palcoscenico italiano la confusione, l’approssimazione e l’estremismo, che hanno rapidamente sostituito alla logica della ragione, le ragioni dell’immaginazione: “l’immaginazione al potere”. L’arbitrio dei singoli e delle fazioni sovrapposto a qualsiasi verità e qualsivoglia autorità, al motto: “Tutto è politica”. Anche la scienza, la scuola, l’amministrazione.
È il tempo del “diciotto politico”, degli esami di massa, delle lauree collettive. L’occasione per carriere fulminee degli opportunismi, la festa della callidità e della demagogia, il festival dei Capanna, dei Mieli, dei Mughini, dei Sofri e via nominando. Una delle loro capitali e’ la Facoltà di Architettura di Firenze. Ma quasi tutte le sedi universitarie si adeguano. Donde la massiccia intrusione nei gangli vitali della società e dello Stato dell’incompetenza, aggravata spesso dalla corruzione.
L’Italia tutta è un ponte Morandi. Pericolante