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Home Appunti di viaggio

L’itinerario romanico degli Almenno, un viaggio nel tempo e nella bellezza

di Luca Bugada
26 Agosto 2021
in Appunti di viaggio, Home
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L’itinerario romanico degli Almenno, un viaggio nel tempo e nella bellezza
       

Agli occhi che agognano la bellezza, Destra.it consiglia l’itinerario romanico degli Almenno, un percorso di notevole rilevanza artistica che si sviluppa lungo i due paesi confinanti di Almenno San Bartolomeo e di Almenno San Salvatore. Ci troviamo nella provincia di Bergamo, ai piedi della Valle Imagna. La storia dei due paesi è profondamente intrecciata, difficilmente disgiungibile: “Almenno anticamente era il centro di un “Pagus” romano detto “Lemennis”, con le invasioni barbariche divenne una corte regia prima longobarda e poi franca. Nell’892, entrò a far parte della Corte rurale di Lecco e successivamente dal 975 al 1220 fu feudo vescovile, poi libero comune e dal 1428 dominio veneto” (E. Gugliemi / M. Offredi, Itinerario del Romanico degli Almenno, trad. testi S. Offredi, Grafica e Stampa: PRESS R3 – Almenno S.B.). Incamminandosi lungo la “Via della Regina”, percorso “che ricalca un antico tracciato romano […] attribuito dalla leggenda alla Regina longobarda Teodolinda” (Ibidem) è possibile visitare tre gioielli architettonici di assoluto rilievo, appartenenti allo stile romanico.
Il romanico, databile tra i secoli XI e XII, contrariamente a quanto comunente si ritenga, si caratterizza per “le profonde diversificazioni tra le varie regioni e tra le diverse arti; […] sviluppando[si] in un tempo diffuso e in una pluralità di centri, con scambi e influssi reciproci” (Romanico, Treccani Enciclopedia online). Questa breve precisazione per ricordare come il termine “romanico” non possa essere ridotto a sola categoria artistica, ma riguardi, invero, un movimento storico e culturale di respiro europeo, estremamente complesso e variegato, che tuttavia trovò in Italia una sua proposta e formulazione originale, riconducibile, almeno in parte, al tessuto storico e politico del tempo: il romanico “è invece l’espressione di una società del tutto diversa da quella dell’impero romano, una società che si colloca storicamente nel momento della crisi del “sacro romano impero” e del sistema feudale.
La città viene via via riacquistando un ruolo preminente, fra la fine del primo e gli inizi del secondo millennio: il cittadino, il “borghese” (abitante nel “borgo”, dal latino tardo burgus, germanico burg), con il suo lavoro, artigiano o commerciale, accumula denaro; il denaro procura nuovo lavoro e quindi si moltiplica. Poiché il potere economico coincide con il potere politico, le città, ormai ricche, tendono, dopo il Mille, a gestirsi autonomamente, staccandosi dall’autorità centrale e lontana dell’impero. È la nascita del “comune”, un’entità politica autosufficiente, si costituisce come “città-stato”, circondata da un territorio extraurbano più o meno grande, quasi come l’antica pòlis greca. La società comunale è formata da uomini che lavorano, che producono, che acquisiscono ricchezza; uomini che pensano in termini concreti; per i quali il lavoro è un bene” (P. Adorno e A. Mastrangelo, Arte, correnti e artisti. Dalla preistoria al primo rinascimento, Messina-Firenze, Casa editrice G. D’Anna, I, 1994, p. 259).
Un modo nuovo di vivere in società e in famiglia, nei luoghi del lavoro e della fede, che inevitabilmente ebbe conseguenze anche sull’arte e sulla figura dell’artista: “Nell’arte che esprime questa società la materia con la quale l’opera è costruita e il lavoro umano che la ha trasformata devono essere chiaramente riconoscibili. La materia inerte, opaca, che attraverso l’intelligenza e la manipolazione dell’uomo ha preso forma razionale non è più perciò simbolo dell’assenza di luce, dell’assenza di Dio, non è più peccato. Anzi, l’uomo si rende degno di Dio lavorando quella materia che il Creatore gli ha fornito con la natura. Per conseguenza sia l’arte dei secoli IX e X (detta “preromanica”), sia quella dei secoli XI e XII (detta “romanica”) non nascondono, come quella bizantina, la materia, ma la evidenziano: una cattedrale, un edificio civile, una pittura, una scultura sono creati dall’uomo per l’uomo, a dimensione umana, comprensibili, quasi tangibili” (Ivi, pp. 259-260).
Il romanico, quindi, si configura come una sintesi dinamica, ma storicamente ben collocabile, di idee e pensieri differenti, unitamente protesi verso una nuova valorizzazione dell’umano: il tentativo di conciliare la materia e lo spirito, l’uomo che lavora e produce con quello che prega e contempla, il tempo con l’eterno, la creatura finita e limitata che aspira all’inesauribile perfezionamento di sé.

LUCI DAL MEDIOEVO

Incamminiamoci ora lungo le vie degli Almenno, riscoprendo la modernità e il fascino del medioevo.  Il primo edificio a destare la nostra attenzione è la Rotonda di San Tomè, un tempietto dalla rarissima pianta circolare, risalente al XII secolo, immerso nell’Agro di Almenno San Bartolomeo, una zona verde decentrata rispetto al centro abitato del paese. L’edificio è “costituito da tre cilindri sovrapposti, restringentisi dal basso verso l’alto, nei quali si innesta ad est il presbiterio e l’abside” ( E. Gugliemi / M. Offredi, Itinerario del Romanico degli Almenno) costruito mediante “pietre squadrate e levigate di provenienza locale” (www.fondazionelemine.eu) di calcare bianco-rosato e di arenaria grigio-verde (Cfr. ibidem).
Particolarmente interessanti risultano le aggiunte successive “[del] presbiterio a pianta rettangolare e [del]l’abside semicircolare […] con un apparato decorativo più ricco, con archetti pensili intrecciati, mensole e fregi in cotto” (Ibidem), nonché il matroneo rialzato, raggiungibile mediante scale “che sono state ricavate nello spessore del muro perimetrale” (Ibidem), impreziosito da uno stupendo deambulatorio: “Il matroneo ricalca la struttura del piano inferiore: presenta anch’esso otto colonne e semicolonne, ma più minute e snelle, che creano un corridoio circolare, il deambulatorio: chiuso da un largo parapetto in pietra che sorregge le colonne, si affaccia sul vano centrale del corpo inferiore. I capitelli di queste colonne dovrebbero risalire al XII secolo: sono diversi uno dall’altro e variamente scolpiti, con una più ricercata fattura stilistica: due rappresentano i simboli dei quattro evangelisti […], altri sono decorati con foglie d’acanto, con palmette o con teste d’ariete; il più elaborato illustra, in quattro episodi, la storia biblica di Sara e Tobia. Verso est il matroneo presenta una grande nicchia ad arco ricavata nel muro: nel catino compaiono tracce di un affresco trecentesco che raffigura l’Annunciazione. Sopra gli archi del matroneo s’innalza la cupola, che presenta, inseriti nella muratura, insoliti archi ribassati, che hanno la funzione di dare stabilità alla parte alta dell’edificio” (Ibidem).
Protagonista assoluta diviene la luce, autentico “elemento decorativo teso a esaltare gli apparati architettonici” (Ibidem), inondando l’interno di una presenza misticheggiante che, durante gli equinozi, colpisce il tabernacolo, dando l’impressione di trovarsi di fronte a un segno tangibile della manifestazione divina. Il tempio, infine, per via della sua ottima acustica, è ambiente ideale per concerti di musica da camera.
Dopo esserci lasciati alle spalle San Tomè si “scende sul ponte del “Tarchì”, antico “ponterolo de Lemenne (XII sec.) e [si] prosegue fino alla vetusta Basilica di San Giorgio (XII sec.)” (E. Gugliemi / M. Offredi, Itinerario del Romanico degli Almenno). L’edificio, a pianta basilicale con tre navate e abside semicircolare, immerso in un contesto naturale, preserva al suo interno affreschi d’inusitata bellezza: “Alcuni di questi affreschi, quali la Maestà nell’abside e i simboli dei quattro evangelisti, i più antichi sono particolarmente deperiti e appena leggibili, ma i loro resti ne fanno intuire la bellezza originaria. Il simbolismo che presiede alla Maestà, richiama gli affreschi più antichi dei secoli XII-XIII: sono espressione di un linguaggio romanico con riflessi bizantineggianti, opere di artisti di area bergamasca, come alcuni santi affrescati su pilastri, strappati per tutelarne la conservazione. Gli affreschi della parete di destra, del secolo successivo, hanno una maggiore compiutezza, come si può rilevare nel trittico di San Giorgio e la Principessa, la Madonna e il Bambino e S. Alessandro, attribuito al Maestro del 1388. È un trittico asimmetrico, posto sull’angolo tra la parete sud e la parete ovest, che raffigura San Giorgio nell’atto di uccidere il drago davanti alla Principessa, la Madonna che tiene per mano il Bambino, racchiusa fra sottili colonnine tortili, e alla sua sinistra S. Alessandro vestito da cavaliere. Particolarmente belle nelle loro composizioni le figure di San Giorgio sul cavallo bianco e della Principessa, in drappeggio elegante e composto, che richiamano un’atmosfera cortese da castello visconteo: grazioso il linguaggio degli occhi tra la Madonna e il Bambino. Di grande drammaticità la quattrocentesca deposizione nel sepolcro di incerta attribuzione, in cui l’affollamento dei personaggi contribuisce ad esaltare il pathos espresso dai volti. Si possono riconoscere Giovanni di Arimatea, ai piedi, la Maddalena che bacia le ginocchia di Cristo, la Madonna che ne bacia il volto, e San Giovanni Evangelista che ne sorregge il capo. Notevole l’espressione della pia donna che grida con le braccia alzate. Il complesso degli affreschi di San Giorgio costituisce uno dei più importanti esempi di pittura medievale” (www.fondazionelemine.eu).
Una curiosità non sfuggirà all’occhio del visitatore: la presenza di una “reliquia”, un osso probabilmente appartenente allo scheletro di una balena che per secoli venne, invece, considerato una costola di drago: l’antico mostro che S. Giorgio riuscì ad uccidere dopo una furibonda battaglia che vide contrapporsi le forze del bene a quelle del male. Suggestivo, infine, il cimitero adiacente alla chiesa, in stile romanico e gotico.
Il nostro peregrinare si conclude con il Santuario della Madonna del Castello, “un complesso monumentale, costituito da tre chiese di diverse epoche” (www.fondazionelemine.eu), frutto dell’unione dell’edificio più recente (XVI sec.) con la Pieve di S. Salvatore (X sec.) e una cripta ancora più antica (VII-VIII sec.).
Per chi volesse, infine, intraprendere un percorso differente, muovendo sempre dalla Rotonda di San Tomè, è possibile raggiungere la Chiesa di San Nicola (1488), seguendo il corso del torrente Tornago. San Nicola si fa apprezzare per la graziosa facciata a capanna e le ampie arcate tardogotiche, per i bellissimi affreschi e le tele, databili al ‘500, nonché per l’organo Antegnati, il più antico organo presente nel territorio bergamasco (Cfr., E. Gugliemi / M. Offredi, Itinerario del Romanico degli Almenno).
A tutti coloro che volessero approfondire la conoscenza del territorio, e del suo patrimonio artistico e culturale, si consiglia di visitare l’approfondito sito internet della Fondazione Lemine, ricco di spiegazioni scritte particolarmente accurate e di audioguide per gli smartphone. La Fondazione Lemine organizza eventi e visite guidate alle chiese. La bellezza sarà pure in grado di salvare il mondo, ma soltanto se adeguatamente accompagnata dalla progettualità, dalla competenza e dall’abnegazione ammirevole di molti convinti volontari.

Tags: AlmennoarteBergamoFondazione LemineMedioevo
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