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Lo scandalo dei “caschi verdi” africani. I soldi mal spesi dell’Europa

di Redazione
5 Luglio 2016
in Rassegna Stampa
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Lo scandalo dei “caschi verdi” africani. I soldi mal spesi dell’Europa
       

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Dal 2007 in Somalia, Amisom, una missione di peacekeeping dell’Unione Africana, difende le istituzioni politiche e una parte del territorio nazionale dagli al Shabaab, il gruppo armato jihadista legato ad al Qaida. La missione si compone di oltre 22.000 “caschi verdi”, così li chiamano, inviati da otto stati africani: Kenya, Uganda, Etiopia, Gibuti, Burundi, Ghana, Nigeria e Sierra Leone. Capo della missione è sempre stato un africano: attualmente è il generale kenyano Jonathan Rono.

Ricapitolando, Amisom è una missione dell’Unione africana, in un Paese africano, africani sono il personale, chi lo dirige e i nemici che combatte: tutto è africano, salvo i soldi. Quelli li mette l’Unione europea: 1.028 dollari al mese per ogni soldato. I rispettivi governi ne trattengono circa 200 per spese di carattere amministrativo e ai soldati restano intorno agli 800 dollari. Ma per questioni definite “contabili”, da almeno sei mesi, i “caschi verdi” non vengono pagati. Il fatto è che l’Unione europea per consegnare i nuovi fondi aspetta che le vengano recapitati i rendiconto dei pagamenti precedenti.La verità è che, non avendo ancora ricevuto quelli delle due ultime tranche, ha sospeso il trasferimento di denaro. A quanto risulta, i conti del periodo da giugno a novembre del 2015 sono arrivati all’Unione europea solo in questi giorni.

Il capo delle truppe ugandesi, generale Katumba Wamala, dice di non avere parole per esprimere la sua frustrazione per questa situazione che demotiva i soldati e li demoralizza. Il ritardo nei pagamenti, oltre tutto, si verifica in un periodo difficile, di accresciuto pericolo per i “caschi verdi”. Dall’inizio dell’anno, al Shabaab ha, infatti, compiuto numerosi attentati e ha colpito duramente anche la Amisom. L’ultimo attacco il 9 giugno è costato la vita a 60 militari etiopi. Quello più grave risale a gennaio quando i jihadisti sono penetrati nella base dei soldati kenyani uccidendone quasi 200.

L’Uganda denuncia da tempo con crescente fastidio, oltre ai ritardi nel pagamento dei propri soldati, i difficili rapporti con l’esercito somalo e con i consiglieri militari statunitensi, britannici e turchi. Per questo, qualche settimana fa ha annunciato che intende ritirare entro la fine del 2017 tutto il proprio contingente che, con 6.223 effettivi, è il più numeroso. 800 dollari al mese sono molto più dello stipendio che i militari africani ricevono dai loro governi in Patria. Andare in missione per conto dell’Unione africana, o delle Nazioni Unite, è una prospettiva molto allettante: in effetti, la paga elevata è la motivazione fondamentale. Ma si sa che i soldi non bastano mai. Forse anche con la scusa dell’irregolarità dei pagamenti, i “caschi verdi” – certo non tutti – non disdegnano di arrotondare con qualche traffico illecito.

Il 6 giugno, per esempio, cinque militari sono stati colti in flagrante mentre vendevano a dei somali forniture rubate nei depositi militari, inclusi carburante, sacchi di sabbia e detonatori. Il capo della polizia Mohamed Sheikh Hassan Hamud ha rivelato che le truppe Amisom erano da tempo sorvegliate. Indagini erano in corso in seguito alle numerose segnalazioni che del materiale militare fosse finito nelle mani di civili. «Questo potrebbe spiegare come mai cresce l’insicurezza nel Paese», è stato il commento del ministro degli interni Abdirizak Omar Mohamed. La dirigenza Amisom ha preso tempo, ma poi ha diramato un comunicato in cui conferma la notizia dell’arresto dei cinque militari. Inoltre ha assicurato d’ora in poi “tolleranza zero per qualsiasi comportamento non professionale” aggiungendo che i trasgressori «verranno puniti con estrema severità».

La nazionalità dei “caschi verdi” arrestati non è ancora stata rivelata. Tuttavia, nella capitale somala Mogadiscio, circola voce che siano soldati dell’Uganda e del Burundi. Secondo un quotidiano del Kenya, inoltre, parte del materiale militare rubato sarebbe finito nelle mani di al Shabaab. Su questo mancano conferme. Tuttavia, non sarebbe la prima volta che si scoprono traffici di militari Amisom con i jihadisti. Lo scorso novembre un’inchiesta condotta dall’organizzazione non governativa Journalists for Justice ha accusato proprio le truppe del Kenya di essere coinvolte nel contrabbando di carbone e zucchero dalla Somalia al Kenya, una delle attività con cui al Shabaab si finanzia.

Mettere fine al contrabbando organizzato a partire dal porto somalo di Kismayo era uno dei compiti del Kenya che alla fine del 2011 ha aderito all’Amisom e dal 2012 controlla Kismayo e i territori meridionali della Somalia attraverso i quali transitano le merci di contrabbando. Ma le truppe kenyane invece di fermare i convogli si fanno pagare per lasciarli passare. Si stima che il contrabbando di zucchero e di carbone renda da 200 a 400 milioni di dollari all’anno. Ai militari Amisom andrebbero circa 50 milioni.

Le autorità del Kenya respingono le accuse e non hanno autorizzato indagini. Ma il traffico illegale continua, questo è innegabile, così come sono innegabili, perché sono stati documentati, ci sono i testimoni, i raid dell’aviazione keniana che a novembre, per sbaglio o per incuria, hanno colpito diversi villaggi in territorio somalo. Pagati dall’Unione europea.

 

 

Anna Bono, Nuova Bussola Quotidiana, 5 luglio 2016

Tags: AfricaAmisomKenyaSomalia
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