Alla soglia dei vent’anni dalla caduta del regime di Saddam Hussein l’Iraq è ancora alle prese con un infinito dopoguerra. Lo confermano gli eventi occorsi tra la fine di luglio ed i primi di agosto, ultima evoluzione – almeno per il momento – di una crisi che affonda le sue radici nelle elezioni politiche dell’ottobre 2021. L’assalto agli edifici governativi della zona verde e l’occupazione del parlamento da parte dei seguaci di Moqtada al Sadr – costati circa 125 feriti, tra cui 25 agenti di polizia – potrebbe segnare il punto di non ritorno in uno scenario politico completamente paralizzato, anche se si susseguono gli appelli alla calma e l’uso della forza per riportare l’ordine nella capitale appare – al momento in cui scriviamo queste righe – come l’extrema ratio cui ricorrere.
All’origine della paralisi istituzionale – che da dieci mesi impedisce il raggiungimento di un accordo per l’elezione del presidente della Repubblica e del primo ministro – c’è lo scontro tutto interno alle diverse componenti del mondo sciita iraniano.
L’ampia vittoria elettorale del blocco Sadr non si è tradotta in una maggioranza parlamentare in grado di imporsi sulle altre forze politiche. Un momento di svolta avrebbe potuto essere rappresentato dalla decisione dei parlamentari sadristi di abbandonare il parlamento, ma quando il blocco sciita filoiraniano guidato dall’ex premier Nouri al-Maliki ha deciso di candidare a primo ministro Muhammad Sudani si è scatenata la piazza. Per Moqtada al Sadr e per i suoi seguaci Sudani altro non è se non “una marionetta di Teheran”, dunque una soluzione inaccettabile per uscire dall’impasse.
La situazione venutasi a creare a Baghdad è tale che a fine luglio sarebbe giunto nella capitale irachena – secondo alcune fonti – anche Esmail Qaani, capo delle forze al Quds dei Pasdaran iraniani. Obiettivo provare a stemperare le tensioni, invitando gli alleati di Teheran a “non provocare Sadr”. Difficile, tuttavia, che possa essere questa la strada per sbloccare lo stallo iracheno. In realtà lo scontro tra Moqtada al Sadr e Nouri al-Maliki sembra essere arrivato al redde rationem. Il che, considerato che tanto i partiti filo-iraniani che il blocco Sadr contano su milizie organizzate e ben armate, potrebbe significare il riesplodere della guerra civile.
Anche le posizioni dei due contendenti restano lontanissime: forte della vittoria elettorale al Sadr ha tentato di formare un esecutivo che escludesse tutti i partiti filo-iraniani, così da ridurre la crescente influenza di Teheran in Iraq.
Circondato da una fama di ferma determinazione, Moqtada al Sadr ha dato ampiamente prova delle proprie capacità politiche e militari quando nel 2003, dalla sua roccaforte di Najaf, è stato uno dei protagonisti della lotta contro l’occupazione statunitense del Paese. L’Esercito del Madhi (Jaysh al-Mahdi) in più occasioni si è scontrato con le forze della coalizione occidentale e, a dispetto di una carente organizzazione, ha dato ampiamente prova della propria dedizione al leader sciita. Oggi Sadr può contare sulle Saraya al-Salam (Brigate della pace), forza in grado di contendere il campo alle milizie filo-iraniane Asa’ib Ahl al-Haq e Kata’ib Hezbollah.
G. Gaiani/ L’Occidente è sempre più stanco della guerra
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