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Lo spread come feticcio e come alibi

di Mario Bozzi Sentieri
31 Maggio 2018
in Il punto
0
Lo spread come feticcio e come alibi
       

 

 

 

Parafrasando un vecchio slogan si può dire che, in Europa, i mercati tracciano il solco, ma lo spread lo difende. Secondo Guenther Oettinger, commissario europeo per il bilancio, saranno infatti i mercati ad “insegnare” agli italiani a votare per la cosa giusta, mentre lo spread non è ormai più solo un “differenziale” tra il tasso di rendimento di due titoli o – come si diceva un tempo – la differenza tra il prezzo di produzione e quello di vendita di un bene. Lo spread si è trasformato in una bandiera, in grado di sopravanzare quelle dei diversi Paesi, ed insieme un’idea guida, capace di erodere fondamenta che parevano inattaccabili (l’economia reale, i territori, la coesione sociale, il sistema rappresentativo), simbolo e linguaggio  in grado di informare Stati, economie, società, culture, di insinuarsi nel quotidiano, di diventare “luogo comune”.

Oggi lo spread occhieggia dagli schermi televisivi, occupa le prime pagine dei giornali, si insinua sulle tavole, fa capolino nelle conversazioni private. Incute paura. E dunque chiede rispetto, novella religione del Terzo Millennio, e sacrifici, come si addice alle credenze primitive.

La “centralità” dello spread, assimilata a livello di opinione pubblica, grazie ad un’abile opera di propaganda, trova, attraverso le élites politico-tecnocratiche, la sua piena celebrazione. Tutto sembra ruotare intorno alla magica parola, tutto ad essa va piegato. Al fondo l’idea che la sicurezza, il benessere, i destini personali e collettivi da lì debbano passare.

Con quali risultati appare evidente agli occhi dei più. Il disagio serpeggia tra la gente. L’incertezza diventa quotidiana. E tuttavia, in una sorta di accanimento terapeutico, l’illusione continua, mentre le cure previste dalla “medicina ufficiale” vengono applicate al prostrato “corpo sociale”: controlli invasivi, tassazione iniqua, riduzione delle sicurezze sociali, tagli di bilancio con conseguente innalzamento delle tariffe e diminuzione dei servizi erogati, privatizzazioni su larga scala, riforma della contrattazione collettiva con conseguente contrazione dei diritti acquisiti.

Tutto questo per rafforzare la “credibilità” del sistema-Paese agli occhi dei vertici europei , a cui fanno da contorno il Fondo Monetario Internazionale, i grandi gruppi finanziari, le agenzie di rating, i ministri dell’Economia e delle Finanze dell’Unione Europea e dietro, poco visibili, ma ben presenti, gli immancabili gruppi di “pressione”.

Il processo di erosione lessicale-concettuale-esistenziale-culturale-economica-politica ha tempi e modalità di portata epocale. Certo è che l’accelerazione del quadro storico, lungi dall’assumere i tratti della “linearità” – così come teorizzato dopo il 1989 – verso il progresso tecnologico-industriale ed il suo corollario politico, rappresentato dal   liberalismo assoluto, ha aperto scenari critici dagli sviluppi tutt’altro che scontati.

Risultati immediati sono stati i costi sociali delle politiche di rigore, la contrazione al ribasso dei ceti medi, la concentrazione delle ricchezze, le politiche di delocalizzazione, l’aumento della disoccupazione, la crisi demografica dell’Occidente.

Con questa realtà vorremmo che ci si confrontasse sui mass-media, nei think tank, nelle università, a livello politico, evitando di sbandierare lo spread come un feticcio, a cui votarsi anima e corpo. Di ben altro ha oggi bisogno l’”anima” del popolo italiano ed il corpo sociale della Nazione.

Tags: economiaFMIUnione Europea
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