L’appena trascorso 25 aprile, tra molte altre cose anche curiose, ci ha mostrato un Guido Crosetto – democristiano di lungo corso, poi forzista della prima ora infine imbarcatosi sul barcone meloniano in qualità, addirittura, di fondatore – impegnatissimo ad esaltare la suddetta celebrazione ed a diffondere il sacro verbo resistenziale.
Per il coordinatore nazionale di Fratelli d’Italia l’esaltazione per la vulgata resistenziale non è certo una novità: qualche tempo fa lo avevamo visto proclamare in TV di fronte a Roberto Speranza la sua intenzione di marciare con lui dietro alle bandiere dell’ANPI alla prima sfilata del 25 aprile disponibile, incurante di essere alto dirigente e fondatore di un partito che ancora esibisce la fiamma tricolore nel proprio simbolo, evidentemente ignaro del suo significato.
Non è chiaro se quella volta credesse veramente in quello che diceva o se, da buona vecchia e malleabile gelatina democristiana, volesse solo compiacere il suo interlocutore per quella innata tendenza alla mediazione, al compromesso e al miscuglio di tutto con il contrario di tutto tipica della sua vecchia scuola politica.
Fatto sta che nemmeno questa volta il nostro, in fondo una specie di Garrone della politica, si è tirato indietro.
Rispondendo al tweet di una nota giornalista della scuderia Cairo, già esperta di gossip ora riciclata come opinionista politicamente correttissima, che incalzava beffardamente i fratellini d’Italia sulla loro ritrosia a partecipare alle celebrazioni della lieta ricorrenza, il bravo Guidone ha pensato bene di rispondere elencando i meriti resistenziali dei quadri di FdI: “Io non ne ho mai avuti [di problemi a partecipare al 25 aprile], quando ne facevo parte e nemmeno prima. Ciò detto, sa che centinaia di eletti di FdI, ieri, hanno partecipato alle manifestazioni ufficiali?”
Completando così un pensiero già espresso il giorno prima, quando – utilizzando il vocabolo “nazifascismo” cioè uno dei più tipici luoghi comuni della propaganda resistenziale della sinistra, aveva cercato di saldare il mito della resistenza alla fede atlantista e americanista: “Oggi si ricorda e si festeggia la Liberazione dal nazifascismo. Come si può dimenticare che quella battaglia fu vinta grazie all’ingresso in guerra degli USA? Fu vinta anche da altri, russi, francesi [goumiers marocchini soprattutto, Ndr], inglesi, alcuni italiani, etc ma soprattutto grazie a migliaia di giovani USA.”
Al di là della banalità e dell’approssimazione storica, Crosetto ci ha comunicato un dato importante: a suo dire “centinaia di eletti di FdI” hanno partecipato alle celebrazioni. Fino a qualche anno fa un’ipotesi del genere sarebbe stata impensabile, a nessun militante o quadro o amministratore della destra politica di una volta sarebbe mai nemmeno venuto in mente di unirsi giosamente ai rituali venticinquisti.
Che oggi invece avvenga senza problemi non può non essere considerato un fatto preoccupante, non per una questione di schieramenti o di difesa di retaggi storici oramai remoti, ma per un problema di cultura e di valori.
Da sempre la sinistra usa il 25 aprile e la sua retorica avulsa dalla storia ma funzionale alla politica come una sorta di randello per decidere chi può e chi non può partecipare alla vita politica. Una volta era l’invenzione dell’Arco Costituzionale ad escludere la destra, oggi invece per non essere esclusi servono l’abiura e la conversione gestite dal sinedrio intellettuale e mediatico della sinistra e somministrate dai suoi esponenti politici.
Di fronte a queste imposizioni come reagisce la destra politica? Nella migliore delle ipotesi svicolando, nella peggiore partecipando.Non certo proponendo letture alternative, non rivendicando il proprio patrimonio culturale, non chiedendo che il 25 aprile diventi il simbolo di una vera riconciliazione nazionale, non sostenendo una lettura dei fatti meno retorica e più aderente alla storia.
Con il paradosso, poi, di ritrovarsi a partecipare ad un rituale fortemente divisivo oramai anche all’interno della stessa sinistra che ne ha il monopolio, come succede da tempo con le contestazioni alla Brigata Ebraica o ai partigiani non comunisti o agli USA tanto amati da Crosetto o, novità di quest’anno indotta dalla lettura fortemente deformata del conflitto russo-ucraino, alla NATO le cui bandiere, portate alle manifestazioni da qualche sprovveduto, sono state bruciate in piazza.
I militanti di FdI che incautamente o con superficialità e faciloneria partecipano alle celebrazioni del 25 aprile sono solo uno dei tanti sintomi di un problema grave ed annoso: l’annacquamento dei valori di riferimento, la politica intesa come pura prassi di gestione, l’impreparazione, culturale e non, di quadri improvvisati ansiosi di farsi accettare non essendo in grado di contestualizzare correttamente fatti storici ed avvenimenti politici.
Ennesimo effetto di subalternità culturale, di sudditanza al politicamente corretto e soprattutto di incapacità di contrastare efficacemente una sinistra sempre pronta ad imporre le regole e i temi del dibattito politico, mediatico e culturale.
Di fronte a questo la destra politica, che secondo la Meloni sarebbe stata messa “in sicurezza”, si mostra incapace di reagire e di contrastare l’egemonia della sinistra e non riesce a fare altro che adeguarsi e chinare il capo, ignara o del fatto che le abiure per l’omologazione non saranno mai abbastanza e si fermeranno solo quando la “destra” sarà diventata quella che farà comodo ai suoi avversari.
Va detto, però, che il fenomeno non è nè nuovo nè casuale. In palio c’è l’ingresso a corte, la partecipazione al banchetto del potere dove bisogna piacere alla gente che piace e non si può mangiare con le mani o fare rutti a tavola.
In passato dal male assoluto di Gianfranco Fini alle professioni di antifascismo di Gianni Alemanno da sindaco di Roma la classe dirigente della destra non ha esitato a buttare a mare storia e valori in cambio del posto a tavola e nulla ci porta a credere che questa volta sarà diverso. Anzi, da quello che si vede lo sgombero è già iniziato.
D’altra parte se Parigi valeva bene una messa, Roma può valere bene una messa resistenziale del 25 aprile.
Post Scriptum: Il 26 aprile è morta Assunta Almirante, la battagliera moglie di Giorgio, figura molto rispettata non solo a destra. La notizia e le inevitabili rievocazioni hanno scatenato a sinistra la solita cagnara sulla figura di Giorgio Almirante, rispolverando vecchi slogan della propaganda degli anni ’70 (“fucilatore”, “torturatore”) e gli insulti, scontati e squallidi, del solito Berizzi (“eredità immorale che ha coperto di vergogna l’Italia” “collaborazionismo coi nazisti” ecc.) e di molti altri come lui. Il renziano Ettore Rosato, che aveva postato un tweet di condoglianze rispettoso della memoria sia di Almirante che della moglie, è stato costretto a cancellarlo e a scusarsi pubblicamente dopo essere stato sommerso da insulti e critiche violente.
Se questo è il clima i quadri di FdI che, ansiosi di omologazione, partecipano ai riti della sinistra antifascista farebbero bene a riflettere.