Il Mediterraneo allargato è ormai diventato un concetto molto definito all’interno della strategia italiana. L’idea, ispirata dalla Marina militare e ormai diventata parte integrante di qualsiasi pilastro strategico nazionale, si fonda sull’esigenza di non considerare esclusivamente il bacino più ristretto del Mediterraneo – e cioè quello limitato da Suez e da Gibilterra – ma guardare oltre, inglobando ulteriori bacini e aree che possono avere una valenza fondamentale per il Paese. Non può esserci Suez senza Mar Rosso ed quindi Aden e il Golfo Persico. Non può essere fondamentale lo stretto di Gibilterra se non si considera anche l’area che arriva fino alle isole Canarie e al Golfo di Guinea. Nella sostanza, il Mediterraneo si allargava, per l’appunto, a tutti i settori di interesse strategico per l’Italia. Un’idea che si è poi concretizzata con le diverse missioni realizzate dalle Forze Armate e che sono diventate una costante di tutti i nostri governi. Dove c’è un’operazione, c’è un interesse strategico da tutelare.
L’allargamento di questo orizzonte è nato chiaramente anche da esigenza di natura economica, che sono fisiologicamente il pilastro di qualsiasi azione di governo. L’Italia non poteva più considerare il cosiddetto Mare Nostrum come proprio orizzonte se le rotte commerciali, petrolifere e energetiche partivano da punti ben più distante delle porte del Mediterraneo. Controllare e assicurare le rotte e le aree di interesse al di là di questo confine terracqueo era di fatto funzionale alla posta in gioco di un mondo che si andava sempre più globalizzando e che serviva alla nostra economia di trasformazione. Oltre che agli interessi nazionali e dell’Alleanza atlantica di cui Roma è stata elemento fondamentale e a quelli dell’Unione europea.
Questo processo di allargamento degli orizzonti mediterranei si fonda su colonne portanti (economiche, politiche, energetiche e tecnologiche) che il mondo di oggi – in continua e sempre più rapida evoluzione – rischia di far diventare obsolete. Sia chiaro, il Mediterraneo allargato è e rimane la base di qualsiasi strategia nazionale, ma proprio per questo molti analisti tendono ormai a chiedersi se questa stessa definizione non sia talmente consolidata da ritenersi (di fatto) superata o comunque estesa.
Mediterraneo e Oceano
In questi giorni, in cui il Mediterraneo è sempre più teatro di conflitti, scontri, giochi economici e infrastrutturali e scenario di dinamiche tra potenze e grandi potenze, le domande iniziano così a diventare delle costanti nello studio geopolitico. Qual è l’orizzonte del Mediterraneo? Limes, nel suo ultimo numero legato appunto all’Italia e il mare, ha spesso considerato il Mediterraneo nell’ottica di una “cerniera fragile dei traffici marittimi globali”. Come spiegato appunto in uno dei suoi articoli, il commercio marittimo su scala mondiale rappresenta circa l’80% del movimento delle merci. Questo si muove su tre rotte principali “transatlantica (Europa-Nordamerica orientale); transindiana (Asia-Europa, via Mar Rosso-Mediterraneo-Mare del Nord); transpacifica (Asia-Nordamerica)”. Dal momento che i centri di produzione sono sempre più lontani dal bacino del Mediterraneo, il “mare nostrum” ha assunto in questi anni una funzione di corridoio e di terminale di rotte commerciali di enorme importanza e su scala globale. Tanto è vero che, anche per questo motivo, si parla di un mare incluso in un “Oceano mondo” in cui il Mare Nostrum diventa un corridoio, un enorme stretto o choke point fa due oceani e tra due superpotenze (Cina e Stati Uniti) insieme alla Russia. L’idea quindi è che il Mediterraneo sia inserito in un sistema oceanico in cui opera da collegamento e in cui il confronto avviene nell’ottica di un raccordo tra due enormi specchi d’acqua in collegamento tra loro grazie alle porte di Suez e Gibilterra e che mette in contatto (e scontro) Mosca, Pechino e Washington.
Infinito Mediterraneo
Il Mediterraneo in un oceano-mondo non è l’unica teoria che in questo periodo avanza sulle orme del Mediterraneo allargato. Su Analisi Difesa è apparsa un’altra ipotesi – frutto dello studio del centro Studi di Geopolitica e Strategia Marittima (CeSMar) – che partendo dalla base, cioè dalla tesi del Mediterraneo allargato, la estende in una nuova sfera di proiezione italiana definita come “Infinito Mediterraneo”. Il concetto parte dall’assunto che l’estensione della visione del Mediterraneo vada di pari passo con l’estensione dei problemi, delle potenze e delle aree di influenza che via vai incidono sul mare che va da Suez a Gibilterra e sull’Italia.
Superati i confini di Aden e del Golfo di Guinea, l’Infinito-Mediterraneo scende fino a inglobare l’intero territorio africano (dove gli interessi strategici nazionali sono fatti non solo dalla ricerca di idrocarburi – si pensi al Mozambico – ma anche alle grandi rotte mercantili), giunge fino a lambire le coste dell’America Latina, in cui entrano in gioco fattori culturali e commerciali, fino a sfruttare le potenzialità del Nord Europa, dalle nuove rotte polari fino ai porti dell’Europa settentrionale e ai grandi tracciati dei cavi sottomarini. Stessa estensione che avviene così verso l’Oceano Indiano, mare dove scorrono rotte di fondamentale importanza per l’economia italiana e europea e dove si incontra la sfera di influenza di Nuova Delhi fino alle proiezioni navali americane.
L’obiettivo dunque di questa tesi è che estendendo i rapporti economici e politici e allargando quindi la platea di potenze con cui l’Italia si confronta – e con essa le potenze euro-mediterranee – allora si allarga anche l’orizzonte del Mediterraneo. Un mare che, come ricordato da Gian Carlo Poddighe, si sposa con quanto sostenuto da Jean Grenier, maestro di Albert Camus, che lo vedeva “uno spazio breve che suggerisce l’infinito”. Una tesi su cui, in altri termini, aveva ragionato anche Manuel Moreno Minuto, che su Il Nodo di Gordio aveva parlato di “Mediterraneo globalizzato” che cambiava la sua stessa natura geografica a seconda delle relazioni studiate. L’idea appunto che un mare sia infinito a seconda delle relazioni che si creano tra Stati e tra economie.
I limiti del Mediterraneo e l’Italia
L’idea del Mediterraneo allargato, come spiegato anche dall’ammiraglio Pier Paolo Ramoino, nacque nell’Istituto di Guerra Marittima dato il grande interesse del tempo – anni Ottanta del secolo scorso – per il Vicino Oriente. Non si poteva più considerare il Mediterraneo a quel “lago” tra Europa meridionale e Africa settentrionale quando il Medio Oriente diventava così influente e fondamentale per l’Italia e per l’Europa. Basti pensare che in quegli stessi anni vi fu la missione in Libano, che rappresentò il salto dell’Italia nel panorama internazionale anche come potenza media regionale in grado di inviare le proprie forze in un teatro operativo estremamente delicato.
L’Italia quindi si interrogava già a quel tempo se i propri interessi combaciassero con l’idea di Mediterraneo. E oggi torna a farlo in virtù proprio della globalizzazione che impone due problemi: capire quali e quante potenze sono i gioco nel Mediterraneo e soprattutto dove terminano gli interessi strategici. Per molti il Mediterraneo termina dove terminano i nostri interessi: ecco quindi l’idea di spostare il “crescent” sempre più in là sia nel settore boreale che in quello australe. E di certo l’allargamento dell’orizzonte è anche una questione di natura strategica che cambia la percezione che ha l’Italia dei teatri operativi in cui intervenire così come gli Stati con cui interagire maggiormente.
In questo senso, la lezione degli Stati Uniti è fondamentale: coniando l’idea di Indo-Pacifico e costruendovi intorno un comando, gli strateghi di Washington hanno definito un’area di interesse strategico che circonda la Cina e in base a questa costruiscono alleanze, unendo territori e governi distanti migliaia di chilometri come Giappone e India al solo scopo di rimodulare la propria azione nel mondo. Questo ovviamente si basa anche su una visione “imperiale” che l’America ha e che chiaramente non può essere messa a paragona con la situazione italiana, ma insegna a capire quanto possano essere fondamentali i nuovi orizzonti slegati dalla semplice connotazione geografica. Stesso percorso che ha portato gli strateghi turchi – a partire da Cem Gurdeniz – progettare Mavi Vatan come nuova “patria blu” con nuovi limiti e obiettivi della rinascente Ankara.
Allargare il Mediterraneo ha reso possibile – negli Anni Ottanta – comprendere plasticamente il valore del Vicino Oriente. Oggi che l’Estremo Oriente è sempre più vicino, così come l’Africa, l’Artico e il Sud America, c’è chi inizia a interrogarsi se anche l’Italia debba cambiare la propria prospettiva: considerando che tutte le potenze, sia partner che rivali, iniziano ad allargare i propri orizzonti in base agli interessi strategici.
Lorenzo Vita, Il Giornale.it , 6 dicembre 2020