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“Madres Paralelas”, il melodramma genealogico di Almodovar

di Tommaso de Brabant
3 Dicembre 2021
in Multimedia
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“Madres Paralelas”, il melodramma genealogico di Almodovar
       

Janis, avvenente fotografa di moda, dopo aver ritratto un antropologo forense intreccia con lui (sposato con una donna malata di cancro) una relazione: resta incinta e sceglie di crescere la bimba da sola. In ospedale incontra Ana, adolescente che, a differenza di Janis, vive con rimpianto la gravidanza, ma cambierà stato d’animo grazie alla nuova amica. Il loro incontro, e le rispettive maternità, si intrecciano con la ricerca dei resti del bisnonno di Janis (aiutata in tale impresa da Arturo, il padre della sua bimba), fucilato dai franchisti durante la Guerra Civile di Spagna. Coppa Volpi a Penelope Cruz, la “madonna di Madrid”, sempre scollacciata, con la sua camminata sbilenca: in un’edizione della Mostra di Venezia che ha visto il Leone alla carriera assegnato a Jamie Lee Curtis e Roberto Benigni, c’era da accontentarsi. Talentuosa e intensa, per carità… Nella cucina di Janis campeggia un terrificante prosciutto: una maligna allusione di Almodovar all’esordio della sua musa (“Prosciutto, prosciutto”, orripilante opus magnum di Bigas Luna)?

I film spagnoli, per avere distribuzione internazionale, devono descrivere il franchismo come il peggior male della storia iberica: dai fantasy di Guillermo Del Toro (“Il labirinto del fauno”, risalente a quindici anni fa) all’horror con sottotesto LGBT “Possession – L’appartamento del diavolo” (girato l’anno scorso e distribuito al cinema la scorsa estate, con falso rimando a “fatti realmente accaduti”). Per carità, liberissimi di vederlo così.

Almodovar non si libera mai dalla consueta superficialità nell’affrontare religione e politica, si ritiene sempre obbligato a inserire nella sceneggiatura le solite battute banali (orrendamente simili a certe “stoccate” dell’ultimo Woody Allen su sesso ed ebraismo, parecchio patetiche) che procurano lo stesso imbarazzo degli adolescenti con velleità intellettuali che si atteggiano ad anarcoidi più o meno atei. Prima dei titoli di coda, un cartello riporta una frase del cronista uruguaiano Eduardo Galeano: “Per quanto si provi di ridurla al silenzio, la storia umana rifiuta di tacere”.

In polemica con Mariano Rajoy (penultimo Presidente del Consiglio spagnolo, e ultimo di centrodestra, prima di lasciare il testimone nel 2018 al socialista Pedro Sanchez), e alla sua (infelicissima) vanteria di non aver destinato nemmeno un euro di spesa pubblica alla ricerca storica. Polemica che si spera, senza essere tacciati di strumentalizzazione, di poter estendere all’attualissima e perniciosissima moda di cancellare (o almeno, di provarci) la memoria storica (o addirittura, di cancellarla e al contempo pretendere l’omertà al riguardo: il negazionismo dei cancellatori si accompagna alla negazione delle loro pretese di cancellazione).

Non è il solito melodramma: è il solito Almodovar, c’è sempre qualcosa in più. Ben oltre i toni da soap-opera (e alla recitazione televisiva: come in un film italiano uscito quasi contemporaneamente, il tedioso “3/19” di Soldini, una brava protagonista – lì Kasia Smutniak, qui Penelope Cruz – è lasciata da sola al timone d’un cast inadeguato – per un regista che gira metà abbondante del film con inquadrature strette sui volti, è un gran problema), “Madres paralelas” è un viaggio sui percorsi della memoria. Memoria autobiografica delle due protagoniste (il passato recente che ha portato Janis e Ana a diventare madri), memoria del rapporto tra madri e figlie (Janis e la madre hippy, Ana e la madre attrice che si vergogna di tenere più al lavoro che non alla figlia), memoria famigliare (il bisnonno repubblicano di Janis, il divorzio dei genitori di Ana): memorie tramandate attraverso foto (conservate dalla nonna e dalle zie di Janis) e resti sepolti, tramite il nome (quello di Janis testimonia le scelte della madre, tossica e rockettara) attraverso il sangue e attraverso il DNA (istigata da Arturo, Janis sottopone se stessa e Ana a dei test). Il resto è, per l’appunto, il solito Almodovar: le donne sono forti e coraggiose, gli uomini sono tollerabili soltanto se restano, remissivamente, sullo sfondo (Arturo è soltanto un manichino, completamente obbediente a Janis: già la primissima scena, in cui lei lo fotografa, è eloquente); una storiella omosessuale, che c’entri o meno col resto del film, va piazzata. Il melodramma c’è, è anche potente, persino elegante – sino a una scena erotica fuori luogo (fa pensare alla nota battuta degli sceneggiatori del telefilm “Boris”: “così, de botto, senza senso”) che, assieme al tira-e-molla tra i personaggi centrali, getta un po’ in caciara il finale. Quasi assente la colonna sonora: ne guadagnano i dialoghi.

Film sulla memoria, famigliare e storica, realizzato da un regista progressista, mentre i progressisti cancellano la memoria storica del mondo occidentale e gettano in soffitta la famiglia; film sulla maternità, realizzato da un regista caro al mondo LGBT, mentre i seguaci degli “arcobaleni” predicano abomini come la svendita della genitorialità o definizioni anti-umane come “genitore 1” e “genitore 2”. “Madres paralelas” è un film politico: come dichiarato da Almodovar stesso alla Mostra di Venezia, è un’opera sulla necessità di ricordare la storia, per vivere il presente e fare politica. Ma non è un film politico solo per questo: forse oltre le intenzioni di Almodovar, oppure perché Almodovar non è racchiudibile in formule precostruite e a uso e consumo di chicchessia.

Tags: AldomovarcinemaSpagna
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