Giuseppe Tomasi di Lampedusa nacque a Palermo nel 1896 e morì a Roma nel 1957. Fu un grande viaggiatore, acquisendo per l’epoca una sterminata cultura europea. Autore di saggi e racconti, è però ricordato soprattutto per “Il Gattopardo”, romanzo pubblicato postumo da Giorgio Bassani nel 1958. Si tratta di scritti vicini alle maggiori opere veriste per le tematiche affrontate e per l’attento modo di cesello descrittivo di ambienti e personaggi.
Malamente ed erroneamente etichettato dal giacobinismo del direttorio culturale editoriale italiano dell’epoca comunista, come puro e semplice scritto reazionario, si rivelò in seguito, dopo un’attenta rilettura, un’opera conservatrice illuminata, costruttivamente architettonica e non meramente passatista. Infatti la maggioranza dei lettori non solo italiani, del vecchio continente e mondiali lo rilessero grazie anche alla elegante versione cinematografica diretta da Luchino Visconti. Il romanzo venne incredibilmente pubblicato dall’editore Feltrinelli nel 1958, nonostante la grave bocciatura critica di Elio Vittorini, dando così inizio ad un classico “caso letterario”.
A distanza di sessantadue anni la lettura dell’opera si rivela criticamente d’accettazione storicista del necessario compimento risorgimentale italiano, certamente da rifiutare e rispedire al mittente sono le superficiali e volgari interpretazioni psicanalitiche partorite negli anni Sessanta e negli anni Settanta, Giuseppe Tomasi di Lampedusa può oggi evidentemente e realisticamente essere apparentato a scrittori novecenteschi quali: Proust ed Eliot. Infatti protagonista de “Il Gattopardo” è il principe Fabrizio di Salina, personaggio in parte autobiografico, che vive tutto sommato la trasformazione statale dal “Regno delle due Sicilie” al “Regno d’Italia” in una apparente e malcelata indifferenza: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Insomma ai più giovani veniva affidato il compito istituzionale di non vanificare quanto di buono fatto dalle generazioni anagraficamente anteriori, al fine di eliminare ed invece migliorare quanto di erroneo era stato fatto dalle generazioni siciliane ed italiane precedenti, come dire che “L’Idea” d’Italia nacque proprio in Sicilia, in epoca medievale dal parto culturale de “La Scuola Poetica Siciliana”, la paternità invece sarà di poco posteriore: “Il dolce Stil Novo” toscano.
“[…] attorno vi era una piccola folla, un gruppo di persone estranee che lo guardavano fisso con un’espressione impaurita: via via li riconobbe: Tancredi, Concetta, Angelica, Francesco-Paolo, Carolina, Fabrizietto; chi gli teneva il polso era il dottor Cataliotti; credette di sorridere a questo per dargli il benvenuto ma nessuno poté accorgersene: tutti, tranne Concetta piangevano; anche Tancredi che diceva: “Zio, zione caro!”.
Fra il gruppetto ad un tratto si fece largo una giovane signora: snella, con un vestito marrone da viaggio ad ampia tournure, con un cappellino di paglia ornato da un velo a pallottoline che non riusciva a nascondere la maliosa avvenenza del volto. Insinuava una manina inguantata di camoscio fra un gomito e l’altro dei piangenti, si scusava, si avvicinava. Era lei, la creatura bramata da sempre che veniva a prenderlo: strano che così giovane com’era si fosse arresa a lui; l’ora della partenza del treno doveva essere vicina. Giunta faccia a faccia con lui sollevò il velo e così, pudica ma pronta ad esser posseduta, gli apparve più bella di come mai l’avesse intravista negli spazi stellari. Il fragore del mare si placò del tutto”.
Da “Il Gattopardo”: La morte di Don Fabrizio, Milano 1958.