La pandemia, sopraggiunta come uno tsunami nel nostro Paese, investendo da subito le regioni settentrionali, ha sconvolto il nostro modo di vivere e le nostre abitudini. Non ce l’aspettavamo. Ci ha colti di sorpresa. Al tempo stesso ha portato alla luce le gravi incrinature del sistema sanitario, anche per il taglio da parte dello Stato di ben 37 miliardi di euro negli ultimi dieci anni. La carenza di reparti di rianimazione, ventilatori polmonari, posti letto, avrebbe posto alcuni medici davanti a difficili decisioni quotidiane: quali di questi pazienti è più logico salvare?. quali lasciare morire..?
Le risorse così limitate non hanno garantito nemmeno la protezione degli operatori sanitari (fino al 1 maggio sono deceduti 163 medici e 40 infermieri). Guido Bertolaso, già capo della Protezione civile e attualmente consulente nelle Marche per l’emergenza virus ha affermato: “Trentamila mila morti in due mesi di pandemia sono un numero importantissimo, dovuto alla carenza di reparti di rianimazione e al fatto che gli ospedali erano pieni. Si è dovuto decidere chi ricoverare in terapia intensiva e lo si è fatto sulla base della carta d’ identità. Io non sarei stato ammesso in certe regioni d ‘Italia per essere assistito … Non mi pare giusto in un Paese come il nostro”. Quello di Bertolaso è un vero e proprio atto di accusa vero chi, negli ospedali di alcune regioni, ha avuto la facoltà di scegliere chi curare o chi lasciare morire, non tanto per lo stato di salute dei soggetti ricoverati quanto per l’ età anagrafica (Bertolaso, classe 1950, è stato colpito oltre un mese fa dal Convid-19).
Dal 2011 a oggi la spesa sanitaria, infatti, è passata da 105,6 miliardi a 114,4, con un aumento dello 0,8% annuo, ma, in questo stesso periodo, l’inflazione è aumentata dell’1,07% ogni anno. Di fatto, quindi, si è speso meno da quando l’economista Mario Monti, con il Salva Italia, ha portato avanti una spending review. La situazione è peggiorata nel 2015 quando il governo di Matteo Renzi ha imposto alle Regioni 4 miliardi di contributi per le casse dello Stato. Soldi che arrivarono con la rinuncia dei due miliardi promessi da Roma per la sanità che, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione voluta dal centrosinistra, è di competenza delle Regioni. Secondo un dossier pubblicato dagli uffici della Camera lo scorso 4 marzo, intitolato “La spending review sanitaria”, l’introduzione di quota 100 da parte del governo Conte ha “acuito la grave carenza di personale, rischiando di compromettere l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza”.
Di conseguenza le Regioni hanno chiuso strutture ospedaliere (nel Lazio il governatore Nicola Zingaretti ne ha eliminate dieci) e i privati hanno subito pensato di colmare la lacuna. Ma, come ha denunciato il direttore dello Spallanzani, Giuseppe Ippolito, le istituzioni dovrebbero rivedere tutto il modello organizzativo, tenendo ben presente che “ la sanità è un bene pubblico per tutti come dice l’articolo 32 della costituzione, non un mezzo per fare profitto” (si veda: “ Il Messaggero”, 26 aprile 2020 ). E’ disonesto fare profitto, ha sentenziato Ippolito riferendosi alle case di riposo in mano ai privati.
Ma pure in strutture pubbliche, l’ assistenza agli anziani ha lasciato ( e lascia) molto a desiderare. Lo dimostra ciò che è successo al Pio Albergo Trivulzio, pluricentenaria casa di riposo milanese che accoglie 1012 tra ospiti e pazienti; ci lavorano 1600 persone tra medici, infermieri e assistenti sociali divisi su tre residenze per anziani e due centri d’assistenza nello stesso complesso. La magistratura sta indagando su oltre 300 morti sospette, che sarebbero state causate non solo dal virus Covid 19 ma dalla precarietà di medici e operatori sanitari, insufficienti per una simile struttura. La fornitura ai dipendenti sarebbe stata distribuita in numero inferiore alle necessità esponendoli al contagio.
Nell’ occhio del ciclone anche la Fondazione don Gnocchi. Infatti sono stati iscritti nel registro degli indagati per epidemia ed omicidio colposo il direttore generale, il direttore sanitario e il direttore dei servizi medici socio-sanitari. Anche in questo caso si indaga sulla distribuzione dei dispositivi di sicurezza al personale sanitario e sul numero dei tamponi effettuati sui pazienti e sul personale.
Di certo, oltre alle rassicurazioni della Fondazione don Gnocchi sul rispetto dei protocolli, ci sono 140 morti, la parte iniziale dei quali tenuta nascosta fin dal 10 marzo, e l’impedimento disposto al personale di indossare mascherine per non spaventare l’utenza, come testimoniano in un esposto alla Procura 18 lavoratrici e lavoratori che operavano in struttura.
In risposta, la cooperativa Ampast ha sospeso i lavoratori firmatari, cacciati dalla Fondazione per aver “espresso, a mezzo stampa e tv, giudizi gravi e – a loro dire – calunniosi”.
Ma non basta. Il 16 marzo il Palazzolo, 583 posti letto, ha aperto un reparto Covid per ospitare pazienti positivi, con 36 posti letto nella sede di Milano e 110 nelle altre sedi. E ciò nonostante in quella data, come sostengono alcuni operatori sanitari, “il contagio era già diffuso ed alcuni colleghi si erano già ammalati”. Anche qui l’epilogo è scontato: si infettano i pazienti, e cominciano a morire.
Ma il Palazzolo come tantissimi altri istituti, non si era fatto sfuggire i benefici effetti della delibera dell’8 marzo che impegnava per 150 euro al giorno a persona (il triplo dei rimborsi normali) la regione nei confronti dei “benefattori delle RSA private” che mettevano a disposizione i loro reparti per fronteggiare l’emergenza sanitaria. Ma l’emergenza nelle Rsa, Residenze assistenziali sanitarie, resta un tema concreto e non si restringe ai confini della Lombardia. Dal Piemonte alla Puglia passando per la Calabria per giungere alla Sicilia, i decessi nelle case di cura sono aumentati. Tutte le strutture dovrebbero essere in grado di funzionare in sicurezza e con efficacia. Purtroppo non lo sono.
L ‘Italia, già nel 2017 era il paese più “vecchio” del mondo dopo il Giappone con il 29,4% della popolazione – ben 17,4 milioni di persone – oltre i 60 anni. Nel 2050, secondo uno studio di UBI Banca, gli over 60 saranno 22,2 milioni. E’ stato osservato che una previsione come questa avrebbe dovuto impegnare governo e regioni ad attrezzare una rete di strutture sanitarie pubbliche in grado di far fronte a questa necessità sociale. Non è stato fatto.
Il vuoto è stato colmato dai privati ma unicamente per guadagnare. In Italia oggi nelle RSA e nelle Residenze per disabili, operano oltre 1.500 imprese private, la stragrande maggioranza delle quali non onlus ma “profit” e, cosa che più conta, la gestione dei privati profit è in costante crescita, come le tariffe che vi si applicano. Secondo l’Oasi, l’Osservatorio aziende sanitarie italiane del Cergas, il Centro di ricerca sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale dell’Università Bocconi di Milano il giro d’affari della sanità italiana nel 2007 è stato di oltre 130 miliardi di euro, investimenti esclusi. È la somma di 102 miliardi di euro di spesa sanitaria pubblica e di 28 miliardi di spesa sanitaria privata. La prima è sborsata dallo Stato per mantenere le strutture pubbliche e rimborsare le prestazioni erogate dai privati accreditati; la seconda è la somma di tutto quello che i cittadini pagano di tasca propria al momento di fare una visita o un intervento in strutture pubbliche e private, per esempio i ticket. Il grosso dell’affare, come si vede, sta nella prima voce, quella dei 102 miliardi. Di questi, sempre nel 2007, agli operatori privati ne sono arrivati più di venti: 8,8 agli ospedali accreditati, 8,6 all’assistenza socio-sanitaria convenzionata (per esempio le case di riposo), 3,6 alla specialistica. Mentre la spesa ospedaliera è stabile, dal 2000 in poi le altre due voci hanno mostrato incrementi medi del 6% all’anno, una crescita determinata soprattutto dall’aumento dei bisogni di anziani e disabili.
Spesso le cliniche triplicano il costo delle prestazioni mediche, in modo arbitrario, facendo in genere pagare un terzo ai privati cittadini e il resto allo Stato. Insomma, gli utili si moltiplicano, vuoi per le alte tariffe completamente libere, vuoi per le operazioni finanziarie che ormai si fanno in un settore redditizio e sicuro come quello sanitario privato ma garantito dallo Stato che ne copre di fatto i costi con le rette pubbliche.
Tra alcuni giganti della sanità privata ci sono importanti imprenditori che, fiutando gli affari, hanno riversato le loro attenzioni in questo settore. Costituiscono una potenza, accanto ai banchieri e agli immobiliaristi. Ne citiamo alcuni. Carlo De Benedetti, Giampaolo Angelucci, Gianfelice Rocca, Giuseppe Rotelli, Maria Laura e Raffaele Garofalo, Emmanuel Miraglia, Ettore Sansavini, Massimo Blasoni.
(I dati riportati nel nostro servizio, in particolare per ciò che riguarda le case di riposo, con relative proprietà, sono stati ripresi da vari organi di stampa , quotidiani, periodici, giornali on. line e agenzie. Li abbiamo doverosamente controllati. Ci risulta, al momento della chiusura dell’articolo,che non sono mai stati smentiti. Siamo a disposizione per eventuali chiarimenti. N.d.R.).
Accanto a questi colossi, figura – non poteva mancare – la Chiesa. Del business della sanità privata rappresenta una fetta importante, ma difficile da quantificare. La proprietà delle strutture è frammentata tra fondazioni, ordini religiosi, diocesi, tutti enti che non sono tenuti a rendere pubblici i propri bilanci. Tra i più noti c’è l’ ospedale San Raffaele, fondato dal prete-manager Luigi Verzè, scomparso nel 2011. Dispone di più di mille posti letto accreditati con il sistema sanitario. Ogni anno conta 58.200 ricoveri, 25.700 interventi chirurgici, 57. 900 accessi al pronto soccorso, oltre 7 milioni tra prestazioni ambulatoriali ed esami di laboratorio. “ Dio guarisce, soleva ripetere don Verzè, la Regione paga”. Spesso in questo ospedale è stato ricoverato Silvio Berlusconi.
Il gruppo Cir di Carlo De Benedetti, con il marchio “Anni Azzurri” gestisce 77 strutture in 10 regioni italiane, specialmente in Lombardia, Piemonte e Liguria per oltre 4.500 posti letto: 48 Rsa, 12 centri di riabilitazione, 11 comunità terapeutiche psichiatriche, quattro cliniche psichiatriche, due ospedali, 24 sedi centri diagnostici e terapeutici, 23 centri ambulatoriali, fatturando così 550 milioni di euro annui. Di rilievo anche la Tosinvest di Giampaolo Angelucci, figlio del parlamentare di Forza Italia Antonio, proprietario delle testate “Libero” e “Il Tempo” la cui catena San Raffaele è attiva in decine di RSA. In sole due pagine di relazione – datata 19 aprile scorso – il dirigente della Asl Roma 6, Fabio Canini ha descritto la gravissima situazione presente all’interno della Rsa San Raffaele Rocca di Papa, in provincia di Roma, affermando la totale promiscuità di pazienti “Covid” coi “non Covid” e l’assenza di personale dedicato a ciascuna categoria.
Qui, nell’epicentro dei focolai laziali si sono raggiunti i 161 positivi e 30 morti, e si susseguono le dichiarazioni e le denunce dei parenti, che raccontano come i loro genitori siano stati lasciati soli col virus. , che sono entrate nel mirino della magistratura per la sconsiderata gestione della pandemia.
Nonostante ciò, il San Raffaele, che già ottiene ogni anno dalla regione Lazio di Zingaretti, rimborsi di accreditamento di quasi 1 miliardo per i “servizi erogati” dalle sue cliniche convenzionate, sembra non avere tenuto alcun conto della situazione precaria delle sue numerose sue strutture. Secondo quanto riportato dalla stampa “ha puntato a trasformare le RSA colpite dalla pandemia in “strutture Covid”, col fine ultimo di ottenere altri rimborsi come previsto dai decreti ministeriali”. Se fosse vero ci troveremmo di fronte ad una vero e proprio sciacallaggio.
Il gruppo ospedaliero San Donato di Giuseppe Rotelli é costituito da 18 strutture ospedaliere , tra le quali spiccano il Policlinico San Donato, l’ Ospedale San Raffaele e Istituto Ortopedico Galeazzi per un totale di 5.169 posti letto e circa 4 milioni di pazienti all’anno curati in tutte le specialità. Ai 17 ospedali presenti in Lombardia (di cui rappresenta l’11% di tutti i posti letto disponibili), si aggiunge Villa Erbosa a Bologna, la più grande struttura sanitaria privata presente in Emilia Romagna. Il 90% dell’attività clinica viene svolta in convenzione con il Sistema sanitario nazionale, i collaboratori sono 15.303, e di questi 4.092 sono medici (di cui 170 docenti o ricercatori universitari). Con 8.000 punti di impact factor e 1.600 pubblicazioni scientifiche l’anno il Gruppo San Donato è la seconda istituzione di ricerca del Paese dopo il Cnr.
Il gruppo Emmanuel Miraglia, Giomi spa. Miraglia, che è stato a lungo presidente dell’Associazione italiana ospedalità privata, guida un gruppo familiare con sede a Roma che conta oltre 1.600 posti letto, di cui più di 1.500 accreditati (dati 2006). Controlla 14 centri in Lazio, Toscana, Veneto, Puglia, Calabria e Sicilia. L’ospedale più grande del gruppo è l’Istituto chirurgico ortopedico traumatologico di Latina, con 449 posti letto. Nel 2011, poi, con l’intento di espandere gli interessi societari anche in Europa, è stata creata Giomi Deutschland, società con sede centrale a Berlino.
Ettore Sansavini, Gruppo Villa Maria spa, con sede a Lugo in provincia di Ravenna. Gvm conta circa 1.700 posti letto in nove regioni italiane (Liguria, Piemonte, Lombardia, Toscana, Emilia-Romagna, Lazio, Puglia, Sicilia) e all’estero, in Francia, Albania e Polonia. Sansavini è anche proprietario e presidente delle Terme di Castrocaro. Il Gruppo Villa Maria dichiara di assistere ogni anno oltre 350mila pazienti per un totale di circa 70mila ricoveri e oltre 2 milioni e 200mila prestazioni diagnostiche e ambulatoriali.
Il fatturato 2006 è di 350 milioni di euro.
Massimo Blasoni, proprietario del marchio “Sereni Orizzonti” che fattura fra Italia, Germania e Spagna, oltre 200 milioni di euro all’anno. Tra i privati esteri attivi anche in Italia, spiccano le francesi Korian (3,6 miliardi di ricavi con un utile netto di 136 milioni e un portafoglio immobiliare di oltre 2 miliardi), e Orpea, primo operatore mondiale in 14 paesi Europei, Cina e Brasile, che registra nel 2019 un fatturato di 3,74 miliardi di euro, con un utile netto di 246 milioni ed immobili per oltre 6 miliardi.