Sulla Penisola anche il tempo fa le bizze riproponendo un clima da primavera anticipata. Primavera/e di beltà ad uso e consumo delle rivoluzioni mediterranee dalle certezze poco lineari, contrapposte ad altre tipologie di ‘rivoluzioni copernicane’, in uso in uno dei consigli d’amministrazione dell’alta industria italiana.
Ebbene sì, l’universo industriale è alle prese con l’arrembante e rivoluzionario, come lo battezzò il “Time”, clone perfetto di Steve Jobs in Italia, dall’ingegno sempre meno italiano. È Marchionne-mania: amore viscerale verso ogni aspetto del quotidiano dal lavoro alla politica, purché sia a stelle e strisce. Un ardire attento solo ai piccoli e grandi interessi personali di bottega, trascurando adorabilmente l’immagine di una Nazione, l’Italia, risvegliatasi da ogni possibile innamoramento verso un’impresa che di italiano ha solo il verbo.
Pare che le realtà industriali magistralmente dirette dal “Celeste”, siano soggette all’oscillazione e agli obblighi di mercato, subendone i bassi tassi di interesse . Fin qui, visto il periodo transitorio dovuto alla crisi, non c’e’ nulla da obbiettare. Peccato che, le defezioni inflazionistiche siano dovute agli investimenti fuori dagli Stati Uniti. Insomma, al desco, si accettano solo pietanze miste, preparate a Detroit, dall’eccellente azienda alimentare-automobilistica “Marchionfiat.” Piccole frivolezze salate, basi per una pietanza davvero gustosa, ricca di sapori autentici che solo ingredienti davvero selezionati come questi possono presentare ad una tavola imbandita-imbastita, “dell’italianità all’ennesima potenza.”
Finita la parentesi culinaria e tenendo conto dei corpi celesti che gravitano nell’emisfero politico d’oltre oceano, vi è pure il tempo per incontri e lusinghe del terzo tipo, ‘obamici’. Se l’uscita della Fiat dai vertici dell’industria italiana, ad appannaggio esclusivo della “Terra del Bisonte” e delle incentivazioni ante delocalizzazione non fa Primavera, Lohengrin non è il figlio di Parsifal e le nostre di primavere, mille e più, sono decimi di secondo che nulla hanno donato al Vecchio Continente e alla civilizzazione.
Arrabattarsi e cercare di comprendere come l’eccellenza dei privati e le possibili nazionalizzazioni, partendo da alcune grandi realtà dell’impresa regionale, provinciale e dell’intero panorama italiano a rischio estinzione, non sono un becero statalismo, è un’impresa di titaniche dimensioni. Se poi, la visuale d’insieme e gli elogi alla visita di Mario Monti alla Peterson Istitute, di cui Marchionne è uno dei membri del Consiglio d’Amministrazione, armiamoci tutti di pensiero libero, davvero libero; di fronte abbiamo la preponderanza fatta “istituto di ricerca indipendente, dalle solide obbiettività della finanza internazionalista dall’unica visione globalizzante irreversibile”.
I tempi cambiano e bisogna tenersi aggiornati. Meglio cancellare ogni residuo storico ingombrante, tenendo conto dei vantaggi. Ad una semplice affermazione rivoltagli da Massimo Mucchetti del Corriere della Sera in una lunga e contraddittoria intervista “ l’Italia ha la sua storia”, del 24 febbraio 2012, Marchionne risponde: “ Di troppa storia si muore.” Verrebbe quasi da ridere se non fosse per una certa inclinazione all’identità e al percorso storico del popolo italiano, rivendicandone tutte le peculiarità di appartenenza e di inestinguibile magnificenza. Ma quella di Marchionne non è una semplice esteriorizzazione di uno stato d’animo dovuto all’incalzare di una sequela di domande in alcuni tratti ben articolate. Anzi.
Vorremmo aggiungere ulteriori quesiti. Partendo dal peso dell’Italia e dai suoi doni considerevoli, gentilmente elargiti ad un’industria automobilistica che di suo, vista la passata tecnologia paleozoica, ha visto sorgere magicamente un’aurora storica dall’orlo del precipizio innovativo. Creatività (liquidità ?) non abbastanza da frenare la corsa al mutamento tanto desiderato. Dunque, a colazione cheese cake a profusione e l’imperizia nel valutare unicamente aspetti multi culturali dalle facili economie di mercato e dalle innumerevoli, rovinose, conseguenze da esportare.
Il fine giustifica i mezzi e farsi assorbire da essi è facile. Mezzi intraducibili e incompatibili con le certezze di un popolo visceralmente genialoide. Di certo, non le avulse eccezionalità di immaginosi eldoradi da scoprire, fuoriusciti dall’eccentrica visione diurna, di sogni narrati , vissuti ed elaborati da altri.
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