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Marco Tarchi/ Non vi è nulla oggi da conservare

di Redazione
27 Novembre 2022
in Rassegna Stampa
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Marco Tarchi/ Non vi è nulla oggi da conservare
       

Ora che ne è evidente l’accettazione nel quadro dell’establishment politico europeo (anche se con la parziale eccezione polacca) e se ne constatano i successi, c’è da chiedersi quali siano, in concreto, le istanze di cui partiti conservatori si fanno oggi portatori. Cioè, in altre parole, quali siano i contenuti di questo “nuovo conservatorismo”. Le piattaforme programmatiche e le scelte operative di quest’ultimo periodo aiutano a far luce su questo punto.

Un primo dato è scontato: non solo i conservatori si schierano risolutamente a destra nello scacchiere politico, ma tramite le alleanze con formazioni centriste tendono a gettare le basi di una generalizzazione dello schema bipolare, riportando d’attualità uno schema che da tempo mostrava segni di logoramento e sbarrando la strada ad ogni ipotesi di tripolarismo o di formulazione di “terze vie”. Non è un caso che Fratelli d’Italia abbia preso di mira, nelle sue polemiche, soprattutto il Movimento Cinque Stelle: i populisti diventano, in quest’ottica, il principale ostacolo da abbattere. E un sostenitore dell’unione delle destre come Zemmour, malgrado il radicalismo di molte sue idee, è di gran lunga preferibile a Marine Le Pen, così come lo sarebbe un redivivo Sarkozy.

Secondo punto: bipolari in politica interna, i neoconservatori lo sono anche sul terreno della politica internazionale e della geopolitica. L’adesione alla Nato e l’alleanza con gli Stati Uniti d’America in funzione prima di tutto antirussa e anticinese è la loro stella polare. E, a quanto la vicenda ucraina lascia intendere, la loro non è un’adesione condizionata e bilanciata da una preoccupazione di autonomia, sulla linea a suo tempo tracciata da de Gaulle; malgrado il compiacimento nel pronunciare la parola sovranismo, è una delega assoluta di sovranità all’amministrazione di Washington. E anche rispetto all’Unione europea, che ancora lo scorso anno nella sua autobiografia Meloni considerava un «inutile e costoso baraccone», un «parco giochi di tecnocrati e banchieri che banchettano sulle spalle dei popoli», una «falsa Europa utopica e potenzialmente tirannica», le critiche sono con ogni probabilità destinate a sfumare notevolmente.

Terzo punto: in campo economico, questo conservatorismo appare completamente in linea con il pensiero e la prassi liberale. Della «destra sociale» un tempo richiamata non sembrano restare tracce. Le denunce dello strapotere dei mercati sulla politica sono reliquie di altri tempi. Il principio di progressività della tassazione è bollato come demagogia della sinistra e provvedimenti come il reddito di cittadinanza diventano obiettivi prioritari da abolire.

Rimane, in controtendenza, un quarto punto. In materia di difesa dell’identità non si segnalano marce indietro. Ufficialmente, il blocco dell’immigrazione continua a far parte integrante dei programmi (sull’applicazione pratica si vedrà), cosi come una netta opposizione alla teoria del genere, ma il timore di essere considerati razzisti e retrogradi porta a dare, dopo quelli inferti al cerchio, anche qualche colpo alla botte, ammettendo è nuovamente lo sono Giorgia a metterlo nero su bianco che l’Italia «ha effettivamente bisogno di una quota di immigrazione» o a lodare l’«ineliminabile e categorico egualitarismo» che scaturisce dal pensiero cristiano. Insomma, il politicamente corretto, quando in vista ci sono prospettive di accesso al governo, comincia a fare capolino anche fra coloro che non si stancavano di denunciarne la nocività.

È dunque lecito chiedersi come si comporteranno, i governi di cui conservatori sono oggi una componente importante, nelle loro scelte. Politiche, ma anche – e soprattutto – culturali. Perché, se è vero che raccogliere voti è indispensabile per acquisire potere in democrazia, per mantenere le posizioni conquistate occorre poi riguadagnare terreno di fronte ad avversari che, giorno dopo giorno, accentuano la capacità di presa sulla mentalità collettiva, soprattutto nei suoi strati più giovani.

Di fronte al progredire del multiculturalismo, della cultura woke, della rivendicazione di desideri individuali etichettati come sempre più estesi “diritti civili”, della distruzione del concetto di normalità attraverso la glorificazione di qualsiasi atteggiamento trasgressivo, dell’omologazione dei gusti e dei giudizi agli standard dettati dall’industria del consumismo, sapranno governi conservatori opporre idee e provvedimenti chiari, volti non solo ad arginare la tendenze in atto ma anche e soprattutto a proporre alternative positive? Mostreranno di aver appreso quella lezione di Gramsci sulla quale, secondo le affermazioni di Giorgia Meloni, lei e i suoi coetanei provenienti dall’esperienza del Fronte della gioventù hanno trascorso giornate pensose e speso ore e ore di appassionate discussioni?

Non vogliamo anticipare risposte che potranno venire solamente dal riscontro dei fatti. Ci teniamo però ad assicurare che, nel nostro caso, non funzionerà quel tropismo, tipico di tanti “esuli in patria”, che li porta sempre e comunque a piegarsi alla logica del meno peggio, a perdonare in nome del realismo anche i comportamenti più opportunistici di coloro che in qualche momento hanno incrociato il loro stesso percorso, a consolarsi delle promesse rimaste senza seguito con la giaculatoria del sarebbe comunque potuto andare peggio.

Abbiamo visto e capito, senza necessariamente condividerle, le prese di posizione di coloro che, dopo avere per anni criticato il proprio ambiente di provenienza per i troppi scostamenti dalla retta via, hanno finito col cedere al ricatto dei sentimenti di fronte a quella che appariva ai loro occhi, e soprattutto al loro cuore, una storica occasione di rivincita sulle tante delusioni e denigrazioni patite. Ma, per quanto ci riguarda, una cosa è certa: non ci accontenteremo dopo una vita spesa nel tentativo di delineare e di diffondere – a dispetto dell’isolamento e delle incom- prensioni – una credibile “terza via” tra liberalismo e collettivismo e a resistere, su ogni piano, all’americanizzazione del mondo, di versioni riverniciate di ideologie e prassi contro cui ci siamo sempre battuti. Neanche se sul barattolo della vernice ci fosse scritto «conservatorismo».

Perché ben poco ci pare degno di essere conservato di questa nostra epoca. Mentre lunga è la lista di ciò che ne dovrebbe essere cancellato. E solo con chi condivide la nostra scelta di ciò che merita di essere conservato potremo fare un tratto di strada in comune.

Marco Tarchi, Diorama Letterario, n. 370

Tags: Diorama Letterariogoverno MeloniMarco Tarchi
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