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Home Economia

Mare & lavoro/ Competitività e formazione. La “blue economy” guarda al fattore umano

di Nicola Silenti
22 Giugno 2018
in Economia, Home
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Mare & lavoro/ Competitività e formazione. La “blue economy” guarda al fattore umano
       

 

 

Orgoglio e vanto dell’economia nazionale, motore della modernità e impulso instancabile di una crescita davvero diffusa. Caposaldo di una storia fatta di successi e cadute, l’economia marittima è da sempre uno dei punti di forza dell’economia italiana, snodo strategico e punto di connessione tra mondi strettamente interconnessi: realtà composite e articolate come quelle dell’industria, delle infrastrutture e dei trasporti, accomunate nella stessa unica ventura da una competizione globale divenuta sempre più spietata.

Una globalizzazione in cui ogni settore e ogni area produttiva si intersecano in un corpo unico indistinto, determinando nel breve volgere di una stagione lo sviluppo o il tracollo di un Paese. Un contesto che interessa da vicino il nostro Paese, affacciato sul mare per oltre i due terzi dei suoi confini e che fa della blue economy una parte fondamentale del proprio sistema produttivo: una realtà che interessa oltre 200 mila aziende, segno evidente di una vitalità e di un vigore confortato negli ultimi cinque anni da una crescita di circa l’otto per cento, come documentato con tanto di cifre e percentuali, tra le tante analisi dedicate dall’ultimo rapporto di Unioncamere proprio all’economia del mare.

Come ampiamente testimoniato da una miriade di indagini, il comparto marittimo si conferma ormai da diverso tempo come un settore trainante dell’economia nazionale, un volano in grado di coinvolgere nel suo moto virtuoso un universo fatto di tante realtà differenti eppure collegate come non mai. Un universo che non si limita alla cantieristica e allo shipping, ma interessa filiere complesse e multiformi come quella ittica e delle attività connesse alla pesca, l’industria del sale e delle estrazioni, la filiera del diporto e quella degli strumenti per la navigazione, senza dimenticare settori in continua evoluzione come quello delle apparecchiature industriali, della crocieristica e movimentazione passeggeri, delle attività di assicurazione e dei servizi legati al turismo: ricettività, ristorazione, villaggi turistici e alberghi, parchi tematici, stabilimenti balneari e intrattenimento. Un universo che si arricchisce di professionalità sempre nuove e realtà in continua evoluzione: basti pensare ai settori della ricerca e della tutela in materia ambientale, delle biotecnologie marine e delle scienze naturali, ma soprattutto delle attività strategiche legate all’istruzione, all’aggiornamento e alla formazione professionale.

Da tempo in tanti nel mondo marittimo hanno compreso quanto a fare la differenza nella competizione tra players nazionali, più dei cantieri e delle navi, sia proprio l’elemento umano. Una riprova di quanto avveduto e lungimirante sia stato l’impegno profuso da quanti, di certo non da ieri, hanno deciso di concentrare le proprie energie nel campo dell’istruzione e della formazione della Gente di mare, del personale marittimo tout court e di quello impegnato nei settori correlati o comunque attinenti.

Una formazione che, nel caso dei giovani allievi di coperta e di macchina , deve essere mirata a garantire quel ricambio generazionale di cui il cluster marittimo italiano non può fare a meno, specie alla luce degli allarmi periodici a proposito dell’insufficiente imbarco di giovani allievi: un fatto purtroppo ben noto a chi da tempo segnala gli intralci e le difficoltà frapposti nella già di per sé ardua carriera di Ufficiale di quei giovani allievi. Numeri sconfortanti che hanno spinto qualcuno a parlare con enfasi di “calo delle vocazioni”, un fenomeno che troppo spesso in realtà nasconde criticità ben più complesse e stratificate.

Certamente il lavoro in mare è tra i più impegnativi e probanti, tuttavia non occorre un grande sforzo di fantasia per accertare, parlando con quei giovani, che in realtà basterebbe poco per invertire questa rovinosa tendenza. Basterebbe ad esempio agevolare, incentivare e promuovere l’imbarco dei giovani, puntando non solo nel mondo della navigazione ma anche, dopo l’esperienza di bordo, in quello dello shipping, della gestione dei porti e del “management tecnico”.

Pur nell’indispensabile vocazione alla competitività e al contenimento dei costi, una valida politica marittima infatti non dovrebbe rinunciare a inserire in cima alla lista delle cose da fare un impegno più consistente e convinto dello Stato in tema di finanziamenti, contributi e sgravi fiscali a sostegno della continuità della categoria degli Ufficiali nazionali. Una continuità che è andata a farsi benedire con la riduzione degli organici di bordo, che spesso ha visto soccombere per primi proprio gli allievi, di coperta e di macchina, a testimonianza di come il comparto abbia ancora molto da fare per incoraggiare e premiare i marittimi di domani.

Se è vero che,nell’ultimo periodo,si sta verificando quel cambiamento di tendenza che vede alcuni armatori imbarcare personale italiano in quanto garante di una maggiore affidabilità,ancora di più occorrerà lavorare in tutti i sensi per l’incremento,la formazione e l’aggiornamento della gente di mare e delle altre professionalità del mondo dello”shipping”.

Tags: economialavoroMaremarina mercantiletrasportitrasporti marittimi
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