Mattarella dice che la magistratura è ormai priva di “credibilità” e “ha bisogno di una rigenerazione etica e culturale”. Parole gravi su un potere che si è dimostrato forte e decisivo per le sorti del paese. La magistratura è in deficit di regole etiche e di cultura della giustizia – continua il presidente-anche ‘nelle condotte personali’. Invoca poi riforme dell’ordinamento giudiziario e del Csm.
Forse una dichiarazione tanto grave, andava sostituita con un’autocritica, visti i ruoli ricoperti. Forse, addirittura, andava evitata, poiché potrebbe sembrare che i cittadini italiani oggi abbiano prima che il diritto, il dovere di non avere nessuna fiducia nella magistratura e nei suoi deliberati.
Risulta chiaro dalle parole presidenziali che viviamo in un ordinamento dove l’amministrazione della giustizia ha all’ordine del giorno comportamenti privati e pubblici degni di censura e frutto di anomalie, di carrierismo, correntocrazia, latitanza di cultura del diritto e della giustizia, immersi nell’antieticità pubblica e privata. Ne esce un quadro paragonabile con levità, ma senza leggerezza, alla città’ di Acchiappacitrulli – immaginata dal Collodi – dove si mandano in galera i dabbene e si ossequiano i malandrini.
Di questo clima risentono anche i magistrati fuori dai riflettori, forse esenti da responsabilità, ma partecipi dell’andazzo. Chi ne ha pratica sa che, salvo lodevoli eccezioni, liti, invidie, carrierismi, disamore per la funzione, impreparazione, supponenza, complesso di superiorità, rendono il pianeta giustizia quasi invivibile e fruttuoso di iniquità, approssimazioni, ingiustizie, ritardi. Dalle parole di Mattarella si desume anche che la responsabilità dovrebbe essere di tutti, meno che del dichiarante, capace di denunce che dovrebbero apparire oneste se non coraggiose.
Mattarella rappresenta l’unità nazionale e è il custode della Costituzione, dello stato di diritto, del suo esercizio. Mattarella è anche presidente del Csm (consiglio superiore della magistratura) organo costituzionale di autogoverno dei magistrati. E’ il capo dei capi della compagnia, non un osservatore, nè un predicatore. Possiede gli strumenti, può esercitare i correttivi. Non è il Papa che auspica la pace nel mondo ma poi non può far niente. Lui è il generale che ha la valigetta che conta.
Non si svela niente se si scrive che nel CSM si è svolto il peggio del peggio di questo dramma nazionale, il mercimonio correntizio delle cariche e degli incarichi, i trafugamenti di verbali, le pugnalate alla schiena, le cene, le spartizioni, le calibrature politiche. Non è facile esonerare il presidente di quell’organo da omissioni e responsabilità. Il processo degenerativo si è svolto sotto i suoi occhi e sotto il suo comando e non si è mosso foglia.
Nel migliore dei casi e al più mite degli osservatori costui potrebbe apparire al massimo il cultore di un’inerzia cosciente e colpevole. Comportamento coerente con i canoni di una tattica attendista e deresponsabilizzata che ebbe fra i leader cattolici nella prima repubblica campioni nefasti, dei quali purtroppo Mattarella potrebbe risultare un epigono, come suggerisce la sua storia politica.
Ma da figura di seconda linea assurto a fasti forse immeritati, ha comunque messo in luce la differenza di spessore con i suoi maestri. Una distanza che si è fatta peso insostenibile sulle spalle del sistema già oberato di criticità e personaggi che da comparse si son ritrovati inusitati protagonisti.