Mentre Parigi brucia e l’Europa trema, in Medio Oriente — nonostante le ambiguità americane, saudite e turche e le incertezze europee — l’Isis è sempre più in difficoltà. I bombardamenti russi e francesi hanno distrutto o danneggiato parte dei giacimenti e degli impianti petroliferi controllati dai terroristi, intaccando pesantemente le finanze del califfato. Sul campo, dopo aver perso Kobane in gennaio in marzo i settari hanno dovuto ritirasi da Tikrit a marzo. In Siria, in queste ultime settimane, Aleppo è quasi tornata sotto il controllo del legittimo governo e adesso le forze di Assad e le milizie di libanesi di hezbollah, con l’appoggio aereo russo, sono pronte a riconquistare Palmira e poi Raqqa, capitale del Califfo e possibile punto d’incontro con le milizie curdo-siriane. Sul fronte del Kurdistan migliaia di soldati curdi e yazidi, addestrati negli ultimi mesi da istruttori italiani, tedeschi e britannici, sono passati in queste ore all’offensiva per riconquistare la città di Sinjar, nel nord dell’Iraq.
Un obiettivo politicamente e militarmente importante. Sinjar è il principale centro del popolo yazida (né musulmani né arabi e di etnia curda, gli yazidi seguono una religione sincretistica basata sullo zoroastrismo, considerata politeista e dunque odiata dai jihdisti che li considerano ‘adoratori di Satana’ ed eretici da sterminare) .
Nell’operazione — appoggiata da intensi bombardamenti aerei della coalizione internazionale — sono impegnati oltre 7.500 peshmerga curdi e 5mila volontari yazidi che attaccano da tre fronti diversi contro la città dove sarebbero asserragliati 600 jihadisti. L’offensiva è supervisionata personalmente dal presidente del Kurdistan iracheno, Massoud Barzani.
Tra gli obiettivi dell’offensiva la liberazione di migliaia di yazidi rimasti intrappolati su monte che sovrasta Sinjar .Per gli yazidi, che hanno visto i loro bambini trucidati, le donne stuprate e schiavizzate, la battaglia é molto più che una vendetta. Hussein Derbo, il capo di un battaglione peshmerga composto da circa 440 yazidi, ricorda che molti dei suoi uomini avrebbero potuto migrare in Europa, ma hanno scelto di rimanere e combattere. Non sono previsti prigionieri.