“Che fine ha fatto il Giorno della Libertà? Istituito solennemente con una legge del 2005, da celebrarsi con la stessa dignità attribuita alla Shoah e ai Martiri delle foibe, l’anniversario della caduta del Muro di Berlino è sparito dai radar della politica”. Lo ha scritto due anni fa Dario Fertilio sul Giornale, in occasione del 30° anniversario della caduta del Muro di Berlino. Certo oggi c’è la pandemia che tiene banco e non possiamo certo occuparci della caduta del Muro e neanche della ricorrenza del 7 novembre, lugubre anniversario della rivoluzione bolscevica in cui si commemorano le vittime del comunismo. Eppure, la giornata della Libertà, aveva il “sigillo dello Stato” e «inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica», la legge numero 61 recita: «È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato». Non è che per caso la cosiddetta «memoria condivisa» per qualcuno significa farne prevalere una sull’altra, in onore al principio dell’egemonia ideologica teorizzato da Gramsci?
Dario Fertilio, Vladimir Bukovskij, e Stephane Courtois nel 1997 hanno fondato i “Comitati per la Libertà”, un movimento internazionale a base federale che si batte per difendere e diffondere la cultura delle libertà. Ogni anno indicano, una giornata internazionale, «Memento Gulag», sulla repressione e sui crimini dei regimi comunisti, in particolare del totalitarismo sovietico. La giornata di studi si tiene sempre nella stessa data, scelta per il suo valore simbolico: il 7 novembre, data d’inizio della Rivoluzione d’Ottobre, secondo il calendario gregoriano. Ancora ricordo il nostro Convegno sui crimini del socialcomunismo, (“Per non dimenticare il Gulag”) organizzato nel lontano 2003 a S. Teresa di Riva nella riviera jonica messinese. Accogliendo allora l’invito fatto dai Comitati per la Libertà.
Dopo un inizio promettente di iniziative storiche culturali e politiche, i due momenti si sono ridotte a sporadiche iniziative locali. Sostanzialmente le giornate del 7 e del 9 novembre, ormai riscuotono silenzio. Eppure, la questione del comunismo è ancora aperta, la sua ferita è ancora sanguinante. E’ una questione che non si è affrontata seriamente in tutte le profondità. A 32 anni dalla caduta del Muro di Berlino gli effetti devastanti del dominio comunista continuano a farsi sentire e sono soprattutto morali. Di fatto è mancata una profonda analisi circa la vera natura della catastrofe ideologica che per lunghi tristi anni ha interessato metà del mondo. Chiediamoci: quanto conosciamo del comunismo a 32 anni dalla caduta del Muro di Berlino?
I danni del comunismo nel mondo permangono, profondi e annidati anche nei luoghi (o nelle menti) più insospettati. I Comitati hanno proposto la data del 7 novembre, anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, da affiancare a quella del 27 gennaio, che ricorda l’olocausto degli ebrei ad opera dei nazisti. “Non si tratta, naturalmente, di mettere su un abominevole bilancia i morti dei due genocidi per un mostruoso conteggio comparativo, ma semplicemente di ricordare che i massacri sono stati due, frutto di diverse ideologie scellerate […] Chiedere che la memoria collettiva commemori anche il genocidio del Gulag (Gulag è la sigla russa di Glavnoe upravlenia lagerej), non significa fare un’operazione di equilibrismo politico, bensì compiere un atto di elementare giustizia morale che tolga alla memoria del crimine antisemita ogni velo di ipocrita unilateralità” (L’altra metà della memoria, Vittoria Strada, in Avvenire, 26/1/2002)

Lo scrittore milanese, a proposito del massacro dei comunisti in Urss, scriveva: “Si è trattato di un genocidio non razziale, ma sociale in quanto vittime ne furono soprattutto interi strati e ceti di popolazione (dai ‘borghesi’ ai contadini), ma anche politici e religiosi…”. Allora perché ricordare solo gli ebrei e non per esempio i 45 milioni (QUARANTACINQUE) di cristiani, morti ammazzati per la loro fede? Non è pure questo un olocausto?
Del tremendo olocausto ebraico, che ha causato 6 milioni di vittime, è proibito, giustamente, dimenticarsi. Di quello cristiano, che nel secolo scorso ha causato un numero di vittime superiore di nove volte, nessuno si ricorda. Giustamente si deplora il folle piano di annientamento che i nazisti hanno attuato nei confronti del popolo ebreo, ma anche i cristiani sono state vittime del regime nazionalsocialista, soltanto nella Polonia gli ecclesiastici uccisi dai nazisti furono 6.400. Ma i cristiani hanno subito massacri soprattutto ad opera del regime sovietico e poi da tutti gli altri regimi comunisti nel mondo.
A migliaia furono i cristiani annientati nella Russia Sovietica, tra il 1917 e 1925, scomparvero nel nulla 200 mila cattolici, ma è la Chiesa Ortodossa russa che ha avuto il più grande numero dei martiri. A questo proposito ha scritto Socci nel suo “I Nuovi Perseguitati”: “[…] il grande macello cominciato con Lenin è proseguito a tutte le latitudini in cui il comunismo si sia imposta dopo la morte di Stalin. Dovunque, dall’Europa dell’Est alla Cina di Mao, dall’Africa alla Cambogia, dall’Etiopia al Vietnam, la grande mattanza ha concesso orrende repliche (e la persecuzione contro i cristiani è tuttora in corso nei regimi comunisti: Cina, Laos, Corea del Nord, Vietnam e Cuba)”.
Il Novecento è stato il secolo del martirio, del più grande macello dei cristiani, un vero olocausto che per lungo tempo abbiamo dimenticato, letteralmente strappato via dalla nostra memoria, “[…] come è potuto e può ancor oggi accadere – si chiede Ernesto Galli della Loggia – che dell’esistenza di questo fiume di sangue la nostra cultura abbia così scarse memoria e consapevolezza?”.
Infatti, l’Occidente è stato finora cieco e muto, si è rifiutato di vedere e di parlare, c’è stata una sottile ipocrisia della nostra cultura (dai mass media all’Università, alle varie associazioni politiche). Invece di denunciare coraggiosamente questi massacri si è preferito un comodo conformismo “buonista” condiviso pure da molti ambienti religiosi.
“Il Comunismo non è finito”, scriveva Eugenio Corti sulla rivista Il Timone, in particolare oggi sopravvive la dittatura degli intellettuali “organici al comunismo”, si tratta del comunismo gramsciano, “che non uccide fisicamente, [il solito colpo alla nuca] ma attua l’emarginazione, ossia la morte civile, di chiunque le si opponga”. E proprio Corti è uno di quelli che ha subito la discriminazione e l’esclusione dal gotha intellettuale, almeno in Italia.
Dunque, si continua a fare lo stesso errore: discriminare i morti. Si ricorda l’olocausto, ma si dimenticano gli oltre 200 milioni di morti dei sistemi comunisti. Qualcuno ha scritto o pensato che anche per i crimini del comunismo, per i responsabili ci voleva una “Norimberga” come ci fu per i crimini del Nazionalsocialismo. A distanza di anni mi sembra impossibile e poi basterebbe una “Norimberga culturale”, questo sì.
Qualche giorno dopo la caduta di Berlino, il vescovo di Fulda, monsignor Johannes Dyba, affermava: “I crimini commessi in tutto il mondo in nome del socialismo devono proprio essere gli unici a non poter essere assolutamente denunciati? Nel nostro Stato di diritto perfino i sofisticatori di vino vengono messi in carcere preventivo per il pericolo di inquinamento delle prove, ma dove sono i vertici responsabili della Stasi?” (Cristianità, n. 182-183/1990)
Sempre nel marzo del 1990 la rivista Cristianità pubblicava uno straordinario studio del professore brasiliano Plinio Correa de Oliveira dal titolo: “Comunismo e Anticomunismo sulla soglia dell’ultimo decennio di questo millennio”, in questo studio il professore brasiliano chiedeva un grande atto di giustizia nei confronti del comunismo chiamato a rispondere di fronte al tribunale della storia.
Il pensatore brasiliano formula delle accuse a tutti i responsabili diretti della immensa sciagura comunista; ai dirigenti supremi della Russia sovietica e delle nazioni prigioniere che imposero la schiavitù; agli ingenui, ai pusillanimi, ai collaborazionisti (volontari e non) dell’Occidente, che invece di intraprendere una crociata per liberare le vittime dell’oppressione comunista, tacquero, collaborarono, prolungarono con le loro sovvenzioni l’azione dei carnefici. Come non pensare ai poveri operai, studenti magiari ungherese che nel 1956 per tredici giorni assaporarono la libertà e poi sono stati schiacciati dai carri armati sovietici.

E poi, ai dirigenti dei vari partiti comunisti sparsi nel mondo che pur conoscendo il tragico fallimento del comunismo, cercarono in tutti i modi di realizzarlo nei loro paesi; a coloro che combatterono implacabilmente gli anticomunisti, che resistevano contro la penetrazione sovietica nei loro paesi; alle quinte colonne del servizio del nemico ed “utili idioti”, borghesi, politici ed ecclesiastici, che, lungi dall’attaccare il comunismo, appoggiarono un incessante diluvio di diffamazioni contro le organizzazioni anticomuniste. Domande o quesiti posti che oggi restano ancora validi e che peraltro nessuno ha risposto adeguatamente.
Mi avvio alla conclusione. Sarebbe fondamentale che la storia del sovietismo comunista venisse trasferita ai giovani, sarebbe importante poterlo raccontare nelle scuole. Perché? Per non dimenticare, come ha detto il Santo padre Giovanni Paolo II parlando alla nazione albanese.
Concludo con un interrogativo che poneva professore Strada: “Troverà la nostra società la forza morale e il coraggio civile per affiancare alla data commemorativa dell’Olocausto un’altra data (magari il 7 novembre anniversario della Rivoluzione d’Ottobre) per ricordare alle coscienze anche le decine di milioni di vittime di un’altra ecatombe senza precedenti, la cui responsabilità grava anch’essa sulla civiltà europea?”.
I Comitati per la Libertà hanno lanciato il Memento Gulag, un manifesto, firmato da numerosissimi intellettuali italiani e stranieri che chiede l’istituzione ufficiale (e il riconoscimento da parte dei governi democratici e d’istituzioni internazionali quali ONU, il Parlamento europeo e il Congresso degli Stati Uniti d’America) di una Giornata della Memoria per le vittime dei regimi totalitari e dei campi di concentramento dell’infame secolo XX. Ci riusciranno ad ottenere questo riconoscimento? I convegni che hanno organizzato i Comitati avevano questo scopo. Anche quello che abbiamo organizzato a S. Teresa aveva lo stesso scopo.