Franco Servello non aveva baffi, pizzetti, occhi azzurri, doppi o tripli cognomi, pelate ducesche che lo rendessero personaggio. I suoi occhi però erano vivi e lo sguardo penetrante. Non possedeva un’oratoria ammaliante, la sua era irruente e coinvolgente, come si conviene a chi è abituato a dover sovrastare con la voce i tumulti provocati dall’avversario politico.
Ma Franco Servello “ c’era”. Nei momenti difficili, decisivi, critici, Servello c’era. Negli eventi storici della destra italiana la sua presenza non mancò mai. Se l’ultimo dei simpatizzanti chiedeva un qualsiasi sostegno, trovava la sua porta sempre aperta.
Quando qualche giovane di destra finiva sprangato al padiglione Beretta del Policlinico, non mancava mai una sua visita di conforto. Scontato, direbbe qualcuno, ma negli anni settanta, anche una semplice presenza al capezzale di un ferito poteva rappresentare un rischio. I compagni preparavano sempre dei picchetti agli ingressi dell’ospedale per schedare e minacciare chi andava a far visita ai “fascisti”. Per una certa frangia della sinistra la pietas, che distingue l’uomo dalla bestia, è sempre stata un concetto aleatorio.
Anche Servello fu vittima mancata di due attentati alla sua vita. Scelse la politica come missione dopo l’ agguato mortale allo zio Franco De Agazio, assassinato dalla Volante Rossa nell’immediato dopoguerra. Sapeva di rischiare ma non si tirò mai indietro.
Il ricordo più indelebile che ho nella mia mente riguarda un sabato pomeriggio della primavera del 1972.
Quel giorno doveva tenersi una manifestazione della Maggioranza Silenziosa, ma solo a poche ore dall’evento la questura ne proclamò il divieto. Le autorità pubbliche cedettero alle minacce della sinistra che aveva annunciato attacchi al corteo ed i democristiani, geneticamente pavidi, si accodarono nelle pressioni liberticide. I partecipanti, decine di migliaia di persone, appresero del divieto solo quando si ritrovarono in piazza. La tensione salì subito altissima, man mano chela gente arrivava al punto di riunione , in corso Venezia.
Fortunatamente si formarono tanti piccoli cortei spontanei che, come tanti rivoli, si dispersero per la città, senza creare incidenti . Alcuni di questi confluirono in Galleria Vittorio Emanuele, dove l’on. Servello, distinguibile per il suo allora immancabile girocollo blu, impugnando il megafono, diede disposizioni per organizzare un sit-in pacifico nell’Ottagono. Un centinaio di persone, non abituate agli scontri di piazza, si sedette , pronto ad una forma civile di protesta. Intanto reparti agguerriti della polizia si disposero lungo un ramo della Galleria.
“State calmi, tranquilli, non succederà niente !” urlava al megafono Servello ed i manifestanti fiduciosi ubbidivano. Ma ad un tratto partì la carica, alle spalle di Servello, che continuava a predicare la calma.
Come una roccia in mezzo ad un fiume in piena , il nostro “federale” rimase fermo, mentre i celerini con i manganelli alzati irrompevano sui manifestanti, che a quel punto si diedero alla fuga. Vennero travolti i tavolini e le sedie e tutto quanto si trovava nei distinti bar della Galleria.
In quell’episodio si manifestò tutto il carattere di Servello: lineare, coerente, leale, coraggioso. Per lui era inconcepibile che proprio le forze dell’ordine potessero comportarsi senza rispettare i patti.
Fu un’amara lezione che purtroppo si ripropose più volte da quel giorno.
Era un uomo d’azione e nel desolante panorama politico attuale c’è da chiedersi quali altri protagonisti di oggi, Fratelli d’Italia a parte, si sarebbero comportati in egual maniera. L’atto di massimo ardimento di questi giorni è stato il mangiare un gelato a scrocco da parte del Matteo.
Una intelligente intuizione di Franco Servello fu far nascere Radio University , nel modo e nei tempi giusti. Troppo presto rispetto ai tempi avrebbe potuto pregiudicare l’avvento delle emittenti libere, perché il potere, messo in guardia dagli spazi di libertà che si creavano , avrebbe potuto reagire soffocandole sul nascere ,tutte, senza distinzioni. Troppo tardi avrebbe trovato l’etere affollato.
Servello ospitò Erreù, come veniva chiamata allora, nel suo studio di deputato, una specie di zona franca che salvaguardò l’emittente da intrusioni di ogni tipo. Mai fece pesare che quella in fondo fosse casa sua, mai ci fu una pressione o un “suggerimento” su cosa dire o non dire, la libertà era completa, e tutti i collaboratori risposero attenendosi con responsabilità e civiltà a quel clima.
Servello fu protagonista silenzioso di tante altre vicende, non cedette mai all’invidia per il carisma di Almirante, riconoscendone sempre la leadership.
Chi arriva , avanti negli anni, alla fine della sua esistenza, può temere la morte perché pavido o perché , avendo vissuto una vita insulsa, si rende drammaticamente conto che è troppo tardi per darle un senso.
Chi invece, volgendo indietro la memoria negli anni passati, coglie il senso della propria storia, si trova in pace con se stesso perché ha adempiuto ai suoi ideali, e dato conforto, aiuto, affetto a chi lo ha seguito. Costui vede nella morte non la fine della sua esistenza ma il compimento della propria vita.
Così è stato per Franco Servello.