«Con il termine “delicatezza” non si intende qui niente di equiparabile alle buone maniere, ma una disciplina del pensiero… precisione e fondatezza sono i tratti d’una postura del discorso che rifiuta istrionismo e improvvisazione». Michele Dantini, professore di storia dell’arte contemporanea a Perugia e Lucca, ha scritto un “manifesto della comunicazione non violenta” basato sulla delicatezza: da considerarsi, questa, «come arte del discorso pubblico, in opposizione a menzogna e sopraffazione».
Nell’introduzione, lo psichiatra Eugenio Borgna (il quale, a sua volta, ha ampliato – restando, purtroppo, per lo più inascoltato – la cura della malattia mentale al di là dell’organicismo riduzionista, perniciosamente dominante in psicoterapia – le case farmaceutiche ringraziano, la salute pubblica assai meno) anticipa che Dantini ha esteso il significato del termine “delicatezza” ben oltre quel che può sembrare: «Le emozioni sono senza fine, e la delicatezza è una di queste: si avvicina alla gentilezza, alla dolcezza… ma ciascuna d’esse ha una sua fisionomia, e una sua pregnanza tematica… Dantini amplia i confini semantici della delicatezza, indicandone la necessità in momenti diversi della vita».
Ancora Borgna enuncia che “il discorso pubblico è diverso da quello filosofico”; e Dantini, nei cinque capitoli del suo manifesto, distingue ciò che “l’arte del discorso pubblico” deve essere da ciò che non deve essere: “il discorso che alletta o minaccia”, “il discorso che separa”, “il discorso che viola il silenzio”, “delicatezza e resistenza”, incamminandosi fra la storia della filosofia e della letteratura (Socrate, Platone, Weil, Junger, Dostoevskij, Mann): quando esse ancora erano un “discorso preciso e lontano”, alieno dalle semplificazioni banalizzanti degli opinionisti da “social network” e della comunicazione politica affidata ai “social media manager”.
Michele Dantini, “Sulla delicatezza – Manifesto per una comunicazione non violenta”
Il Mulino, Bologna 2021
136 pagine, 12 euro