Quali rapporti intercorrono tra Israele e i miliziani dello Stato islamico? Una questione spinosa e , non a caso, rimossa dai media. Ma il legame “scandaloso” c’è ed è da tempo operativo e ben collaudato. Lo ha confermato in questi giorni un ex ministro della nazione ebraica. Intervenendo ad un dibattito ad Afula, il 24 aprile scorso, l’ex titolare della Difesa Moshe Ya’alon ha riferito delle “scuse” dell’ISIS per aver attaccato una unità dell’esercito israeliano sulle alture del Golan.
Interpellato dai giornalisti, l’ufficio dell’ex ministro e i suoi collaboratori non hanno voluto commentare l’affermazione o chiarire i dettagli del suo intervento, dopo che è emersa la pesante allusione di “contatti” fra i tagliagole barbuti e Israele. Restano però le parole del politico: “Vi è stato un caso, di recente – ha affermato Ya’alon – in cui l’ISIS ha aperto il fuoco e [in seguito] si è scusato”.
Con tutta probabilità, il riferimento è a uno scontro avvenuto nei pressi del confine siriano nel novembre scorso; in quell’occasione, le Forze di difesa israeliane (Idf) avevano scambiato colpi di arma da fuoco con miliziani nell’area legati allo Stato islamico. Al termine di una breve battaglia, l’esercito con la Stella di David ha attaccato i membri del gruppo terrorista con aerei e carri armati.
Ya’alon ha parlato di questi contatti in dibattito pubblico mediato da un giornalista dell’emittente israeliana Channel 10. Il suo riferimento alle scuse provenienti dai jihadisti per l’attacco erano inseriti all’interno di un più ampio discorso riguardante la politica di Israele in Siria. Un atteggiamento, almeno in via ufficiale, di “non interventismo” e “neutralità”, anche se non sono mancati episodi di attacchi contro sistemi missilistici o il raid all’alba di oggi nei pressi dell’aeroporto di Damasco, dietro i quali vi sarebbe la mano dello Stato ebraico.
In via ufficiale, Israele e le cancellerie occidentali considerano i miliziani degli altipiani del Golan, conosciuti col nome di Khalid ibn al-Walid Army e affiliati all’Isis, un gruppo terrorista. Sotto il profilo giuridico le comunicazioni fra ufficiali israeliani e jihadisti sono considerate illegali, perché costituiscono “contatti” con un agente nemico.
In realtà i miliziani del califfo nero sono per Gerusalemme preziose pedine nella lotta contro la leadership di Damasco e del suo alleato principale nella regione mediorientale, l’Iran. Lo stesso ex ministro Ya’alon aveva parlato in modo aperto di attacchi da parte dell’esercito israeliano contro le forze fedeli al presidente siriano Bashar al-Assad, in risposta a scontri e presunti sconfinamenti di truppe nel Golan. Da qui le accuse della stampa siriana, che ha parlato in passato di sostegno aperto e incondizionato di Israele ai combattenti anti-siriani. Un aiuto che va oltre una mera operazione di soccorso dei feriti, così come va oltre il passaggio di informazioni e di monitoraggio attraverso l’aviazione, inglobando anche “un intervento diretto con l’artiglieria e raid dell’aviazione militare”.
Israele teme che a ridosso dell’altipiano del Golan – un’area di 1200 chilometri quadrati occupata nel 1967 durante la guerra dei Sei giorni – possa sorgere una formazione di opposizione simile a quella creata dagli Hezbollah nel Sud del Libano, durante gli anni di occupazione israeliana. Un incubo che ha infine costretto Israele a ritirarsi dal sud del Libano senza avere, per la prima volta nella sua storia, nessun accordo di pace in cambio di territori occupati evacuati.
Fonte Asia news