Nelle drammatiche e complesse vicende legate al conflitto in Ucraina ha fatto capolino, sporadicamente, anche un piccolo Paese europeo, semisconosciuto ai più: la Moldavia. In particolare sono emerse tutte le fratture interne che, dal momento della caotica indipendenza nata con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, caratterizzano la vita dell’antica Bessarabia, terra a lungo contesa tra i principati – poi regno – di Romania e la Russia.
Agli onori delle cronache nelle ultime settimane è balzata la Transnistria. La piccola regione della Moldavia abitata da una popolazione in maggioranza di origine slava e russofona – indipendente de facto dal 1992, al termine di una breve quanto sanguinosa guerra civile – è stata teatro di alcuni attentati dinamitardi, di sospetta origine, che ne hanno fatto temere un coinvolgimento diretto nel conflitto russo-ucraino.
Eventualità immaginabile anche sulla scorta della presenza, in veste di forze di pace, di truppe russe nella repubblica indipendentista – presenza in verità striminzita, circa 1.500 militari – e della vicinanza politica di Tiraspol a Mosca. Oltre che dalle dichiarazioni di alcuni comandanti russi, secondo cui l’obiettivo dell’operazione speciale lanciata lo scorso 24 febbraio sarebbe il controllo – tra l’altro – dell’Ucraina meridionale fino, appunto, alla Transnistria.
Ipotesi che ha, ovviamente, agitato e non poco i sonni dei vertici istituzionali moldavi. Tuttavia il vecchio ed incancrenito dossier transnistriano non è l’unico che in queste difficili settimane movimenta la vita politica moldava. Anche la semisconosciuta Gagauzia rischia di creare qualche grattacapo al governo filo-occidentale guidato dalla presidente Maia Sandu.
La piccola entità autonoma – 1.832 kmq per circa 160mila abitanti, in grande maggioranza appartenenti all’etnia gagauza – è tradizionalmente vicina a Mosca, sotto il profilo politico quanto quello socio-culturale: solo il 10% degli abitanti parla correntemente il moldavo, il resto della popolazione è russofona. Un legame rafforzato da una attenta azione di investimenti economici e legami commerciali attuata da Mosca negli anni. Questa situazione si riflette, ovviamente, anche in campo politico: dal 2015 alla guida della Gagauzia c’è Irina Vlah, della “la zarina”, rieletta con un vero e proprio plebiscito – il 91% dei consensi – sulla base di un programma fortemente autonomista.
Una evidente rappresentazione delle divisioni interne alla società moldava si è avuta in occasione del 9 maggio, giornata che celebra la sovietica vittoria nella seconda guerra mondiale. Il governo filo-occidentale di Maia Sandu oltre ad aver varato una legge per vietare le manifestazioni, ha messo al bando il nastro nero-arancio di San Giorgio, uno dei simboli dell’operazione speciale condotta dai russi in Ucraina. Tuttavia, a dispetto delle decisioni del governo, il 9 maggio i partiti di opposizione – molti filorussi – hanno portato migliaia di persone in piazza nella capitale Chisinau, mentre il governo della Gagauzia ha varato un provvedimento ad hoc per autorizzare celebrazioni e nastro di San Giorgio.
Ce n’è abbastanza, dunque, per capire perché la Moldavia in questa crisi è un vaso di coccio tra vasi di ferro.