L’apertura della campagna elettorale per le elezioni regionali toscane aveva per i postcomunisti una location fissa: il salone del Monte dei Paschi di Siena, sede fiorentina. La festa della vittoria per il presidente e la giunta di sinistra aveva sempre la stessa cornice. Dal vertice alla base: un iscritto CGIL che contraeva un mutuo con Mps aveva diritto rispetto alle condizioni prefissate dall’ istituto a una riduzione dell’1% sugli interessi. Il Comune di Siena, di sinistra, riceveva a fondo perduto dal Monte una cifra pari circa al suo bilancio annuale. La Fondazione MPS inondava di somme ingenti le associazioni in area pds & succ., anche se piccolissime. A Siena il centro destra era costretto a muoversi in una realtà avversa e inattaccabile. Parlare male del Monte significava perdere anche i fatidici 25 (e)lettori.
Lo strapotere dell’istituto di credito, la sua influenza era tale che non solo a Siena ma nella regione l’Mps era il reale protagonista politico. Quando anche a sinistra venne di moda “privatizzare”, le cosiddette joint ventures pubblico-privato, avevano il Monte come immancabile partner della Regione. La sinistra regionale difendeva la cosidetta “senesità del Monte”. In realtà rafforzava il diritto di vita e di morte sull’economia e la politica regionale. L’istituto, banca di diritto pubblico ampliò i suoi spazi d’influenza e arruolò Massimo d’Alema che pretese il suo tributo di sangue. Fu incorporata la Banca del Salento, divenuta poi Banca 121. Salasso epocale, ma garanzia dell’intangibilitá del Monte e del suo potere.
Quando la sinistra non bastò più alla sinistra e si pervenne all’unione coi cattolici, il Banco di Santander, in stretti vincoli — come è noto — con l’Opus Dei, siglò la commistione con la cessione al Monte di Antoveneta con i suoi 10 miliardi di debiti. In nome della politica degli equilibri delle forze e del dominio territoriale, a opera di classi dirigenti uscite dalle uova della solita chioccia, si è consumata una rovina che sembrava impossibile. Per tentare di chiudere la questione “in famiglia” si è posto un uomo (Padoan) a far da ricevitore, pur facendo parte della squadra dei lanciatori, pessimo esempio di sliding doors, pratica diffusa nel mondo amorale della finanza e della postdemocrazia.
Il sistema di governo e di gestione pro domo sua della cosa pubblica, del pubblico denaro e dei risparmi privati è rimasto sostanzialmente senza colpevoli, a nulla valendo il parziale sacrificio degli ultimi piloti rimasti incastrati nell’abitacolo. Come attori della stessa fiction si finge di condannare questa storia disonorevole, per la quale esistono responsabilità precise e complicità diffuse.
Ma nessuno che prenda il toro per le corna e chieda di pagare il prezzo ai principali responsabili: sinistra postcomunista e cattolica e costruttori della postdemocrazia governante di cui fanno parte anche gli odierni messia resilienti. Il silenzio di chi dovrebbe denunciare e opporsi ha oggi radici ben definite e motivazioni rinvenibili in posizioni di potere e rapporti anche sovranazionali dai quali nessuno è estraneo.
Bene o male sono tutti passeggeri e equipaggio dello stesso bastimento, sia pur in posizioni di diverso impatto. Anni fa non saprei dire. Quando ero in politica attiva e iniziai la mia lotta contro lo strapotere di Mps, fui invitato a “piantarla”. Non la piantai. Ma nessuno mi dette una mano. Ci fu, invece, chi da posizioni teoricamente distanti, continuò a fornire uomini al pianeta Mps e a tenere con esso rapporti importanti, specialmente fra factotum. Quelli che rendono tutto opaco, non leggibile, ma funzionale e redditizio.
Io a Draghi non affiderei neanche la gestione delle spese di manutenzione del giardino poi sono pronto a augurargli lunghissima vita.